L'abbattimento della statua di Saddam Hussein a Baghdad, nel 2003, dopo l'invasione americana (Reuters).
Alcuni anni fa, in seguito alla morte di giovani militari in Iraq, il teologo Luigi Lorenzetti pubblicò su Famiglia Cristiana questo commento. Lo ripubblichiamo.
Un giovane soldato è tornato in patria, ma per i funerali. Così tanti altri lo hanno preceduto. La loro sincera missione di pace è stata catturata nella logica della guerra interminabile. È doveroso ricordarli insieme con le loro famiglie.
Una questione di pietra si pone, invece, alla politica dell’Occidente che, nel XXI secolo, ricorre alla guerra per ottenere obiettivi giusti o ritenuti tali. La lotta al terrorismo è doverosa, ma con la guerra alle nazioni? Con l’impossibile garanzia di incolumità dei civili?
Le guerre contro l’Afghanistan (2001) e l’Irak (2003) e le altre di questo decennio confermano, purtroppo, l’insegnamento dei Pontefici che si sono succeduti in questi anni: «È irragionevole pensare («alienum est a ratione») che la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia». Una cosa è certa, il Vangelo non è spendibile per benedire la guerra sotto qualsiasi nome: necessaria, asimmetrica, e addirittura preventiva; è spendibile esclusivamente per insegnare alle coscienze che è necessario organizzare le vie giuste per la soluzione dei conflitti e delle controversie tra i popoli o tra i gruppi sociali.