Non è nuova la donazione di un rene tra familiari per ragioni di compatibilità immunologica ed evitare, così, il rigetto. È nuova, invece, la donazione di un rene a uno sconosciuto o, come si dice, alla collettività. Tale trapianto è stato eseguito per la prima volta in Italia, precisamente a Milano, ed è significativamente denominato samaritano in riferimento alla notissima parabola del Vangelo (Luca 10,25-37). A un maestro della legge ebraica che domanda «chi è il mio prossimo?», Gesù di Nazareth risponde con un racconto che ha per protagonista un anonimo abitante della Samaria (un samaritano) che, strada facendo, incontra un uomo ridotto in fin di vita dai briganti. A differenza di due persone religiose che vedono e passano oltre, si ferma e, senza domandarsi chi sia, connazionale o straniero, di una religione o di un’altra, offre il suo aiuto.
Nel linguaggio comune, e non solo cristiano, quel samaritano rappresenta l’uomo e la donna che, dalla compassione (da patire con) e misericordia, passano al soccorso ai sofferenti e bisognosi.
In applicazione, ogni donazione di organo per il trapianto, sia che venga dal donatore defunto per volontà precedentemente espressa, sia da donatore vivente, richiama lo spirito o comportamento del samaritano che si esprime in amore e sollecitudine verso il prossimo bisognoso; amore tanto più alto quanto più è gratuito e non calcolato in termini di gratitudine e di contraccambio.
La donazione di quella donna ha innescato, così informa il Ministero della salute, una serie di donazioni e di trapianti da viventi. Secondo un modo incrociato (detto cross over) è stato possibile raggiungere in successione i donatori e riceventi di cinque coppie (idonei al trapianto da vivente ma incompatibili tra loro a livello immunologico o per gruppo sanguigno) creando, per così dire, come una catena di S. Antonio per usare una felice interpretazione di un illustre medico.
Per valutare correttamente il trapianto samaritano e il fenomeno (cross over) che ne è seguito, occorre un sapiente discernimento che conduce a una duplice comprensione distinta e convergente: da un lato, una comprensione che sa apprezzare il trapianto samaritano e ammirarne l’alto significato umano e cristiano; dall’altro una comprensione che non cavalca quella donazione in modo strumentale così da presentarla come via nuova di soluzione generale dei trapianti.
Ovviamente la donazione da vivente riguarda unicamente organi doppi (rene, cornea), così il donatore/donatrice non perde la sua sostanziale integrità fisica e sia motivato da amore altruista. Nessun’altra motivazione può giustificare tale decisione: né la ricerca di prestigio sociale, meno che meno un vantaggio economico. Inoltre, è necessario moralmente che il donatore/donatrice vivente sia consapevole dei rischi che corre e se questi sono sostenibili; che il consenso sia esplicito e libero da forzature interne (familiari) e sociali.
Per concludere, il trapianto samaritano non indica la soluzione generale dei trapianti; rappresenta, invece, una grande testimonianza di amore e di vita che è alla base di ogni forma di trapianto e che non può lasciare indifferente nessuno, credente o no che sia.