Dal nostro inviato a Pacora
Il confessionale del Papa, con la sua bandiera bianca e gialla in cima, attende penitenti. Sul prato del carcere minorile di Las Garzas, a Pacora, le tre strutture in legno costruite dagli stessi ragazzi che qui scontano le loro pene, somigliano a delle vele che stanno per prendere il largo. Las Garzas, gli aironi, sono loro: i 167 giovani ospiti del penitenziario che qui stanno riscoprendo i loro talenti. I corsi obbligatori tenuti dall’Istituto per la formazione professionale e per lo sviluppo umano danno i loro frutti. Tanto che oggi il centro, che gode della supervisione dell’Unicef, è considerato un modello per Panama e per il mondo. «I ragazzi sono emozionati. Tutti. Perche questa non è una visita solo per i cattolici, ma per tutti», spiega la direttrice Emma Alba Tejada. Anche lei commossa per la visita di Francesco, è «sicura che questo incontro incoraggerà i ragazzi a continuare nel cammino di integrazione nella società».
È la prima volta che la liturgia penitenziale di una Giornata mondiale della gioventù si tiene in carcere. Una attenzione che il Papa ha voluto avere per gli “esclusi”. La Gmg entra in carcere e, conBergoglio, sono tutti i giovani presenti virtualmente dietro le sbarre per dare una mano ai loro coetanei meno fortunati. «Non ci sono solo minori ai perché tanti hanno compiuto i reati quando erano minorenni, ma poi sono stati condannati a molti anni di carcere e li stanno ancora scontando», aggiunge la direttrice. Reati gravi che vanno fino all’omicidio, come per una delle ragazze che il Papa confessa al termine della messa.
“Questa è la gioventù del Papa", ritmano a una sola voce all’arrivo di Bergoglio, come stanno cantando migliaia di giovani fuori, per le strade di Panama.
Il Papa li incoraggia. Durante la celebrazione sono chiare le sue parole anche in risposta a quanto non hanno capito il senso del suo gesto di oggi. Francesco commenta il Vangelo di Luca che parla di quanti mormoravamo conto Gesù che mangiava con i pubblicani e i peccatori. Ma Gesù non aveva paura di «avvicinarsi a coloro che, per mille ragioni, portavano il peso dell’odio sociale, come nel caso dei pubblicani – ricordiamo che i pubblicani si arricchivano derubando il loro stesso popolo, suscitando molta, molta indignazione – o il peso delle loro colpe, degli errori e degli sbagli, come i cosiddetti peccatori. Lo fa perché sa che nel Cielo si fa più festa per un solo peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione».
Un giorno di dolore e di consolazione quello che Bergoglio celebra nel penitenziario. Di riscatto. «Sto scontando la pena in carcere, ma non mi sono mai sentito così libero come oggi», dice Luis accogliendo il Papa all’inizio della celebrazione. Un ragazzo che oggi sogna di diventare chef internazionale «per dare questa gioia a mia madre e riconciliarmi con la famiglia».
Un riscatto che il Papa incoraggia. Ricordando l’atteggiamento di Gesù: «Mentre quelli si limitavano solo a mormorare o sdegnarsi, bloccando e chiudendo così ogni possibile cambiamento, conversione e inclusione, Gesù si avvicina, si compromette, mette in gioco la sua reputazione e invita sempre a guardare un orizzonte capace di rinnovare la vita e la storia». Ci sono due sguardi, quello dei farisei, che «non amano questa scelta di Gesù, anzi, prima a mezza voce e alla fine gridando manifestano il loro disappunto cercando di screditare il suo comportamento e quello di tutti coloro che stanno con Lui. Non accettano e rifiutano questa scelta di stare vicino e di offrire nuove opportunità. Con la vita della gente sembra più facile dare titoli e etichette che congelano e stigmatizzano non solo il passato ma anche il presente e il futuro delle persone. Etichette che, in definitiva, non producono altro che divisione: di qua i buoni, di là i cattivi; di qua i giusti, di là i peccatori», ricorda il Papa. Ma questo è un «atteggiamento inquina tutto perché alza un muro invisibile che fa pensare che emarginando, separando e isolando si risolveranno magicamente tutti i problemi. E quando una società o una comunità si permette questo, e non fa altro che bisbigliare e mormorare, entra in un giro vizioso di divisioni, rimproveri e condanne; entra in un atteggiamento sociale di emarginazione, di esclusione e di opposizione. E normalmente il filo si spezza nel punto più sottile: quello dei più deboli e indifesi».
Ma poi c’è lo sguardo di Gesù che ci ricorda che «tutti abbiamo un orizzonte. Se qualcuno pensa di non averlo allora apra la finestra. Tutti, tutti abbiamo un orizzonte». E tutti abbiamo «necessità di tenerezza, di amore». Gesù «inaugura una dinamica capace di offrire strade e opportunità di integrazione e trasformazione, di guarigione e di perdono, strade di salvezza. Mangiando con pubblicani e peccatori, Gesù rompe la logica che separa, esclude, isola e divide falsamente tra “buoni e cattivi”. E non lo fa per decreto o solo con buone intenzioni, nemmeno con volontarismi o sentimentalismo, lo fa creando legami capaci di permettere nuovi processi; scommettendo e festeggiando ad ogni passo possibile».
Dobbiamo combattere «la cultura dell’aggettivo che marchia le persone. Dobbiamo chiamarci per nome, non per aggettivi» e dobbiamo rompere anche con un’altra mormorazione non facile da scoprire e che «perfora i sogni» perché «ripete come un sussurro continuo: non puoi farcela, non puoi farcela...».
È «il mormorio interiore che ci convince che “chi è nato “pubblicano” deve morire “pubblicano”; e questo non è vero». Possiamo farcela e Dio ci è vicino, ci viene a cercare ed è felice quando il figlio che ha sbagliato torna a casa. Il Papa riprende le parole di Luis che confessa che, quando ha incontrato Dio, ha sentito finalmente di avere un padre. «Un Padre che ci chiede cose belle». E che fa festa per noi. E che ci da una mano per cambiare vita. «A volte», dice il Papa, «la mormorazione sembra vincere, ma non credeteci, non ascoltatela. Cercate e ascoltate le voci che spingono a guardare avanti e non quelle che vi tirano verso il basso».
Quando Matteo si converte, ricorda il Papa Gesù gli dice che andrà a a casa sua e invita tutti a fare festa. «Una società si ammala quando non è capace di far festa per la trasformazione dei suoi figli; una comunità si ammala quando vive la mormorazione che schiaccia e condanna, senza sensibilità». La società invece deve essere capace di dare nuove possibilità ai suoi figli, di impegnarsi a creare futuro “con comunità, educazione e lavoro. E anche se può sperimentare l’impotenza di non sapere come, non si arrende e ritenta di nuovo. Tutti dobbiamo aiutarci per imparare, in comunità, a trovare queste strade. È un patto che dobbiamo avere il coraggio di fare: voi, ragazzi, i responsabili della vigilanza e le autorità del Centro e del Ministero, e le vostre famiglie, come pure gli operatori pastorali. Tutti, datevi e ridatevi da fare per cercare e trovare strade di inserimento e di trasformazione. Questo il Signore lo benedice, lo sostiene e lo accompagna».
E, dopo aver confessato cinque ragazzi e prima di ricevere i molti doni che i ragazzi hano preparato per lui, Francesco dice ancora una parola. «Ricordatevi», ribadisce, «di aprire la finestra e di guardare l'orizzonte»