Il 5 marzo è uscito, in Francia e Germania, un drammatico documentario sugli abusi ai quali molto spesso – troppo spesso – sono sottoposte le religiose da parte di uomini di Chiesa. E questo accade, è accaduto, non solo in Paesi del mondo che a noi sembrano remoti, come Africa o Asia, ma anche qui, in contesti occidentali dove le donne nella società laica sono emancipate e la loro condizione si avvicina alla parità con quella degli uomini. Su questo scandalo il silenzio è ancora pesante, anche se papa Francesco ha avuto il coraggio di ammetterlo e di promettere che si sarebbero avviate iniziative volte a punire queste violenze.
Molte di queste vittime hanno denunciato senza ricevere alcuna risposta, ma forse sono ancora di più quelle che non hanno avuto il coraggio, la forza, di denunciare.
Questa situazione è la punta di diamante, drammatica e troppo a lungo ignorata, di una condizione femminile gravemente subalterna: nella Chiesa le donne, e in primo luogo le religiose che hanno donato la loro vita a essa, sono considerate membri di seconda classe, non vengono mai ascoltate né consultate, devono solo obbedire. Una condizione molto più simile alla servitù che al servizio, come aveva giustamente denunciato papa Francesco.
Non c’è da stupirsi allora che le vocazioni femminili – soprattutto quelle all’impegno attivo – stiano precipitando e stia diminuendo drasticamente anche la presenza delle giovani nella vita della Chiesa. Cosa succederà quando non ci saranno più catechiste a sostituire quelle di oggi, che stanno invecchiando? Quando non ci saranno più suore a tenere in piedi le missioni, a inventare nuove iniziative coraggiose, a testimoniare il servizio radicale verso i poveri e i sofferenti, cioè il nocciolo della missione cristiana?
Ancora oggi le gerarchie ecclesiastiche sono convinte che le donne non contino niente, che non sia il caso di consultarle quando si prendono decisioni – piccole o grandi – sul futuro della Chiesa, quando si decidono le nomine di nuovi vescovi. Tanto per salvarsi la faccia, sono state aggiunte delle donne – poche – nei ruoli importanti delle gerarchie dei Consigli pontifici, sempre scelte dall’alto fra le più obbedienti. Sarebbe indispensabile invece dare voce alle donne che fanno parte delle associazioni femminili in cui le dirigenti vengono elette dal basso, cioè dalle donne stesse. Come le dirigenti dell’Uisg, Unione internazionale delle superiori generali, che raccoglie l’80% delle religiose di vita attiva e svolge un ruolo propositivo e creativo nella vita della Chiesa.
Una delle ragioni per cui le donne sono selezionate così di rado per le cariche che contano è il loro basso livello di preparazione culturale: in generale, il periodo di preparazione delle religiose prima dei voti è lungo la metà di quello di religiosi maschi e sacerdoti, e quindi partono già svantaggiate.
Per fortuna sono sempre più numerose le religiose che studiano (magari mentre per vivere svolgono servizi casalinghi) e parlano, con coraggio e ad alta voce. Le denunce degli abusi fanno capire che tutto sta cambiando.
Foto Reuters.