Le colombe di luce, rotondette, in mano ai bambini e i fiocchi di neve, che evocano insieme pace e silenzio ovattato nella luce azzurra, saranno l’immagine molto poetica che ci porteremo via e che per un attimo ci fa dimenticare i venti di guerra evocati per contrasto dalla presenza a Pechino di Vladimir Putin e dal boicottaggio diplomatico occidentale. I Giochi, indipendenti sulla carta e formalmente anestetizzati da ogni tensione nelle righe della carta olimpica, sono sempre e da sempre ragion di Stato. Lo show è cominciato, ma la crisi ucraina è il convitato di pietra. Come una statua di ghiaccio assiste nell’ombra. Mentre là fuori le diplomazie lavorano per scioglierla.
È successo tutto in fretta, la pandemia ha prima dilatato e poi compresso i tempi della ritualità olimpica: il braciere di Tokyo 2020, che poi era 2021, si è spento appena sei mesi fa, scarsi perché era l’8 agosto. Per un gioco di ricorsi storici stessa data in cui iniziò Pechino 2008, stesso stadio a forma di nido di oggi, allora appena nato, immerso in una calda umidità collosa e pieno, mentre oggi causa Covid la Cerimonia d’apertura è chiusa in una bolla ma ammesso spettatori, sebbene poco meno che dimezzati rispetto alla capienza del "nido". Molto meglio delle porte chiuse inizialmente previste. Bolla dura, per il resto, fatta di test a ripetizione, per tenere il villaggio al riparo dal contagio, con un’ala apposita per positivi da isolare.
La cerimonia accende un trionfo di tecnologia a luci led, la vera novità: predominano di conseguenza i giochi luminosi, contando su una pavimentazione che copre lo stadio e li amplifica fingendo ghiaccio luminescente: colombe, cristalli di ghiaccio e riferimenti agli sport invernali i motivi iconografici dominanti. Bellissimo, nella sua sincronia perfetta e organizzata, il dente di leone, mosso all’unisono da centinaia di persone, secondo una modalità d’insieme che richiama tante figure della cerimonia che aveva stupito e forse avvertito il mondo del potenziale cinese 12 anni fa. Quasi stupisce, per contrasto, che la luce meno appariscente sia proprio quella del braciere olimpico: niente esplosione di fuoco in accensione, appena una fiaccola che sale intrappolata in un cristallo di ghiaccio fatto di luce. Quasi non si vede.
Anche stavolta la sfida è quella che sempre mette alla prova i registi delle cerimonie olimpiche: trovare il grimaldello che apra tutte le porte di uno spettacolo fruibile contemporaneamente da vicino, ma senza possibilità di teleobiettivo, dal pubblico presente allo stadio e a distanza dallo spettatore televisivo, in un gioco di vicino e lontano amplificato dalle zoomate e dalle riprese aeree.
Distanze di sicurezza assicurate, anche dal fatto che l’Olimpiade invernale, forzatamente più contenuta dalla selezione “naturale” delle discipline condizionate dai climi freddi e dalle conformazioni geografiche più o meno montanare, accoglie una cerimonia d’apertura molto più intima rispetto all’omologa estiva che vede sfilare delegazioni gigantesche. Qui, tolte le grandi fredde: Stati Uniti, Russia, Canada; la Cina che gode della qualificazione allargata riservata alla Nazione ospitante; le alpine o quasi: Svizzera, Austria, Francia, Germania, e Italia; le baltiche e le scandinave nonché il senso del Giappone e della Corea per il ghiaccio, avanza un piccolo resto del mondo di buona volontà che deve fare i salti mortali per mettere insieme una squadra per discipline costose e proibite in casa per carenze di volta in volta territoriali, economiche o strutturali.
Gli azzurri guidati da Michela Moioli, alfiera di riserva a sostituire Sofia Goggia alle prese con uno dei suoi recuperi impossibili, hanno sfilato in tuta azzurra sormontata da mantella tricolore. Così li ha voluti Giorgio Armani con il dettaglio dell’inno scritto all’interno all’altezza del cuore, tributo al Paese uscito da un tempo difficile, ma anche una trovata che sarà forse sembrata eccessiva allo zoom ravvicinato ma che ha funzionato e spiccato benissimo nella foto d’insieme da cui l’Italia è uscita colorata e immediatamente riconoscibile al mondo. Ultima della fila appena prima della Cina perché da lei il 20 febbraio dovrà ricevere la bandiera olimpica da portare a Milano-Cortina, prossima tappa della carovana olimpica.