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martedì 21 gennaio 2025
 
Un angelo in ambulatorio
 
Credere

Lucia Ercoli, la dottoressa che cura i poveri del Papa

14/03/2019  Dirige il nuovo ambulatorio sotto il colonnato di San Pietro che assiste i clochard ma anche la gente delle periferie di Roma che fatica ad accedere a visite e medicinali. Perché, spiega, «nella sanità diventata troppo simile a un’azienda si è insinuata la cultura dello scarto»

La fila dei turisti si distende pigramente in attesa di entrare nella basilica di San Pietro. In contemporanea sotto il colonnato destro scorre un piccolo mondo parallelo, anche questo internazionale, fatto di camici bianchi e vite in bilico. «Sono stato per tanto tempo senza i medicinali per il diabete e la pressione... senza di loro sarei morto»: Marco si avvicina spontaneamente. Ha capito che il suo «angelo custode» sta raccontando cosa succede nell’ambulatorio “Madre della misericordia”, che dal 2015 papa Francesco ha voluto aprire per i più bisognosi che gravitano intorno a Città del Vaticano.

Come Marco, appunto, che a più di 60 anni, egiziano, ha perso il lavoro di cuoco e si è ritrovato a vivere sotto i ponti del Tevere. «Mi hanno salvato la vita, sono una famiglia per me», dice indicando i medici che si affacciano dalla porticina. Ogni settimana, nei tre giorni di apertura (martedì e giovedì pomeriggio, sabato mattina), dalle 60 alle 80 persone si recano all’ambulatorio. È il popolo degli invisibili, che piano piano hanno perso il diritto alla salute, una «città nella città», come la chiama Lucia Ercoli, medico della Direzione di sanità e igiene del Vaticano e responsabile dell’ambulatorio. Prima erano solo «i poveri del Papa», poi la voce si è sparsa e ora arrivano all’ambulatorio anche dalla periferia. Crescono i pazienti, ma anche i medici volontari, che vanno ad affiancarsi alla trentina in servizio, guidati da Ercoli. Il servizio, infatti, è svolto da volontari medici specialisti e personale sanitario della Santa Sede, dell’Università di Roma Tor Vergata e dell’associazione Medicina Solidale.

NELLA NUOVA SEDE

Agli inizi del 2019 l’ambulatorio ha avuto una sede più grande. «In considerazione dell’aumento dell’utenza e della diversificazione dei bisogni di salute emersi, l’elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski, ci ha dato la disponibilità di nuovi spazi con tre postazioni per le visite, una farmacia interna e una sala di attesa, dove le persone possono stare riparate dalla intemperie», spiega Lucia. «Arrivano i pazienti più disparati, hanno bisogno di tutto. Prevalentemente, essendo dei bevitori sono alcolisti, hanno problemi gastritici perché mangiano male e vivendo per strada molti hanno bisogno dell’otorino», aggiunge il dottor Paolo Silli. Chirurgo per 36 anni al Fatebenefratelli, una volta andato in pensione, ha conosciuto l’elemosiniere del Papa: «Padre Konrad mi ha detto di questo ambulatorio e così mi sono candidato. Faccio qualcosa di utile per i bisognosi, mettendo a frutto la mia esperienza».

Nel tempo il servizio è cresciuto. Da un anno è stato aperto «un ambulatorio di genere, rivolto soprattutto a donne vulnerabili, in particolare in gravidanza. E con le colleghe – senologa, ginecologa, ostretrica – abbiamo attivato una linea di screening sulle patologie tumorali a cui queste persone non riescono ad accedere», dice Ercoli. «Con le donne sono arrivati i bambini, e quindi abbiamo un servizio di pediatria».

L’ambulatorio è anche “mobile”: tre volte al mese, con un camper, i medici girano nelle periferie dimenticate di Roma. «Cerchiamo di sottrarre la malattia alla principale vulnerabilità che è l’isolamento, la segregazione, l’emarginazione e la solitudine personale. Oramai le persone ci conoscono, le raggiungiamo e rifacciamo il punto sullo stato di salute e poi, se non ci sono cose che possiamo risolvere sul camper, diamo come riferimenti gli ambulatori del colonnato».

Lucia saluta gli habitué, incoraggia i nuovi pazienti, indirizza la collega Elisabetta da una donna seduta in disparte, sulla base di una colonna, con le gambe ulcerate. All’ombra del cupolone Ercoli ha trovato uno spazio accogliente per quella “Medicina solidale” in cui crede, sigla che raggruppa una serie di medici che condividono lo stesso orizzonte professionale. «Dopo la trasformazione aziendale degli ospedali si è persa l’idea dell’ospedale come luogo di ricovero e cura. Anche in ambiente sanitario si è creato una cultura dello scarto, per cui c’è un’attenzione alla patologia solo se rappresenta una sorta di guadagno. Per alcune persone, inoltre, ci sono impedimenti concreti all’iscrizione al Sistema sanitario nazionale, che quindi perde quel carattere universale che aveva prima; e infine esistono degli impedimenti economici per chi deve scegliere se mangiare o curarsi. Oggi è messo in discussione l’articolo 32 della Costituzione italiana che garantisce gratuità delle cure ai vulnerabili».

UNA VITA SOLIDALE

  

Per Ercoli, responsabile sanitaria della onlus “Medicina solidale”, quest’aggettivo vuol dire «prendersi carico di chi è tagliato fuori dal sistema e provare a rimetterlo dentro». A partire dalla parte più fragile della società, «i bambini». Perché la povertà, dice Lucia, «unisce trasversalmente immigrati, rom e italiani. E sui bambini c’è un pianto, come quello di Ismaele, che solo Dio ha ascoltato facendo sgorgare acqua».

E proprio “La fonte di Ismaele” è il nome dell’ambulatorio che - insieme al marito, anche lui medico, e con uno dei vescovi ausiliari di Roma, Paolo Lojudice - Lucia ha realizzato nella zona di Cinecittà. “Medicina solidale” è stata «la trappola» che Dio ha posto sulla strada della dottoressa per riprendere una relazione che si stava allentando: «Vengo dall’esperienza degli oratori, per un periodo sono stata nel Rinnovamento dello Spirito. Quando ho pensato che l’esperienza di fede si stesse esaurendo è nata “Medicina solidale” e l’unica realtà che ci ha accolti è stata una chiesa, santa Maria Madre del Redentore, di cui era parroco proprio l’attuale vescovo Lojudice…».

La cura degli altri, la professione e la solidarietà sono un filo rosso che da sempre accompagna la vita della responsabile dell’ambulatorio del colonnato. Negli anni Novanta Lucia e il marito facevano servizio notturno di volontariato con la Caritas. Quando scoppia la guerra nei Balcani, decisero di accompagnare don Armando Nardini, loro parroco a San Giovanni Battista de’ Rossi, nei viaggi che ogni 15 giorni l’anziano sacerdote intraprendeva per portare aiuti in Bosnia. «Andavamo sia dai cristiani che dai musulmani. Lì ci hanno parlato di un orfanotrofio in Bielorussia in condizioni criticissime. Siamo andati e da quel momento abbiamo spostato la nostra attenzione sui bambini vulnerabili, che è poi continuata con “Medicina solidale”. Negli ambulatori dislocati nelle periferie di Roma, infatti, vengono soprattutto donne e bambini».

Mamma di tre figli adottivi e con diverse esperienze di affido familiare, Lucia sa che il suo cuore è con i più piccoli. «I bambini che vengono in ambulatorio li sento come se fossero tutti miei. E quando mi chiedono quanti figli ho… io penso duemila e passa…».

Foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto

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