Luciana Alpi, la mamma di Ilaria, ci ha lasciato. Il 14 giugno a Roma in tanti hanno partecipato all’ultimo saluto. Qualche anno fa, in quella stessa chiesa, tanti amici, parenti, giornalisti avevano salutato anche Giorgio, il papà. Il primo e più forte pensiero è che sono finalmente, di nuovo insieme, con Ilaria. Dopo oltre 24 anni. L’intera famiglia, erano soltanto loro tre. Per i credenti è una certezza che ora anche Luciana conosce quella verità per la quale ha tanto sofferto, lottato, rivendicato. Insieme a Giorgio, finché lui era in vita, poi da sola. Fino all’ultimo giorno.
In un’amara intervista di pochi mesi fa a Rai News 24, Luciana Alpi lo disse: «Fanno passare il tempo, gli anni scorrono. Io invecchio. Se non ci sarò più io, la vicenda si chiude». In questo si sbagliava, non sarà così.
Luciana non ha fatto in tempo ad avere verità e giustizia. Non ha fatto in tempo nemmeno a sapere se la Procura di Roma archivierà il caso oppure no: la decisione sarà presa fra pochi giorni.
In quella stessa intervista disse dell’altro: «La verità non la vogliono. Ilaria stava facendo un’inchiesta scabrosa sui traffici d’armi e di rifiuti tossici e sulla mala cooperazione».
La verità non la vogliono. Ben consapevole, dopo lunghi 24 anni, che erano quelle stesse istituzioni a cui la chiedeva a non volerla, la verità. I giornalisti che hanno investigato su quel duplice omicidio avvenuto in Somalia, sull’esecuzione che ha eliminato Ilaria e Miran il 20 marzo 1994, lo hanno toccato con mano: quanti depistaggi, quante reticenze, quanti non so e non ricordo, quanti documenti sottratti e scomparsi, quanti testimoni falsi e talora prezzolati si sono avvicendati in questo quasi quarto di secolo. Una storia che suscita rabbia, indignazione, profonda amarezza in chi l’ha voluta conoscere e approfondire. Ma come possono averla vissuta Luciana e Giorgio? Cosa ha significato per le loro vite? Eppure, entrambi, non hanno mai smesso di chiedere educatamente, civilmente di sapere, e di individuare chi e perché la loro figlia è stata giustiziata con un colpo in testa insieme al suo operatore in una afosa strada di Mogadiscio. Cos’ha significato per loro entrare ogni giorno nella camera della loro figlia, rimasta intatta lungo tutti questi 24 anni? Cos’ha significato rivedere centinaia di volte le foto e le immagini della loro Ilaria morente adagiata nel bagagliaio di un fuoristrada, o leggere migliaia di documenti nei quali se ne descriveva l’omicidio, le successive omissioni, gli inganni, le bugie, il castello di carte false edificato per occultare la verità.
Loro, Giorgio e Luciana, non si sono mai arresi. E il loro coraggio, la loro mite fermezza, la loro ostinazione hanno trasformato il caso “Alpi-Hrovatin” nella storia appassionante, seppure tragica, di Ilaria e Miran, hanno tramutato un caso giudiziario in una battaglia di libertà e di civiltà. Sono stati, costantemente, il punto di riferimento di tante persone, giornalisti, insegnanti, studenti, associazioni, cittadini che si sono idealmente incamminati con loro lungo questa strada di ricerca della verità. Papà Giorgio e mamma Luciana ora si sono dovuti fermare. Su quella strada ci siamo noi, restiamo noi, quelli che non accettano che due coraggiosi e bravi giornalisti possano essere assassinati per spegnere il loro microfono e la loro telecamera. È una questione di giustizia, di libertà di informazione, di diritto da parte di tutti gli italiani di sapere.
Sapere chi ha tappato loro la bocca con la violenza più estrema. E sapere anche perché è stato fatto: occorre venire a conoscenza di quanto Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non ci hanno potuto raccontare. È una verità che renderà tutti noi un po’ più liberi. E il nostro Paese un po’ più civile.
Questa vicenda non si chiude con la morte di Luciana. #NoiNonArchiviamo.
(Foto in alto: Ansa)