«I miei genitori erano della Valtellina, si trasferirono a Lecco negli anni Sessanta. Anche se non fu un grande spostamento, sapevano cosa significava inserirsi in un contesto estraneo. A noi figli hanno insegnato ad accogliere tutti, senza pregiudizi».
Luciano Gualzetti, 55 anni, è da meno di un mese direttore di Caritas ambrosiana. Originario di Lecco, sposato, con tre figli, è il primo laico a ricoprire questo ruolo. Con i suoi centri d’ascolto attivi sul territorio e il sostegno alle Caritas parrocchiali, Caritas ambrosiana ha le antenne alzate a intercettare necessità e nuove emergenze. Promuove servizi per gli anziani, le persone disabili, chi è in grave stato di emarginazione, i senzatetto, chi è vittima di sfruttamento o prostituzione. Ma offre sostegno anche alle famiglie in difficoltà, attraverso il Fondo Famiglia Lavoro, istituito nel 2009 dalla diocesi per aiutare chi ha perso il lavoro in seguito alla crisi economica.
Sulla scrivania di Gualzetti, in questi giorni, c’è l’emergenza profughi: per aiutare chi arriva in Europa la Caritas sta attivando numerose iniziative sia in Italia, sia in altri Paesi – come Serbia, Macedonia e Grecia –, dove volontari e professionisti sono presenti nei campi di accoglienza profughi 24 ore su 24, con cibo, sostegno e assistenza legale, e con programmi specifici per i minori non accompagnati, separati dalle loro famiglie durante il viaggio o rimasti soli perché i genitori sono morti.
«Milano con il cuore in mano», si diceva una volta. È ancora così?
«C’è ancora tanta generosità, c’è però anche chi cavalca le paure, alimentando le divisioni. Quando sono arrivato a Milano per lavorare in Caritas vent’anni fa, quello che mi ha colpito fin da subito è stata la tenuta dei legami nei quartieri, anche grazie alla presenza capillare della Chiesa e delle parrocchie. Ora, con l’aumento di persone provenienti da altri Paesi, la sfida è quella di creare nuovi legami di vantaggio reciproco. Qualcuno, in modo deliberato, smonta questa possibilità con la retorica che gli immigrati rubano il lavoro, che si fa tutto per loro e non per gli italiani e così via. La responsabilità nel creare rancore e spaccature di questo tipo è grandissima, perché si rischia di buttare via un grosso capitale sociale senza costruire nulla. Milano oggi vive anche una contraddizione fra la sua dimensione internazionale – con l’Expo, i palazzi delle grandi multinazionali nel centro – e le periferie, dove le persone sono allo sbando, dove l’alloggio e una vita dignitosa sono sfide ancora da affrontare».
Lei è originario di Lecco. Com’è iniziato il percorso che l’ha portata a impegnarsi nella Caritas?
«Vengo da una famiglia numerosa, con otto fratelli. Tutti siamo passati dall’esperienza dell’oratorio di Lecco, e sin dalle medie partecipavamo a iniziative caritative. C’era il gruppo legna: raccoglievamo fascine da portare nelle case delle persone anziane per aiutarli a scaldarsi d’inverno. O il gruppo carta: passavamo a raccogliere vecchi giornali per poi finanziare, con il ricavato, microprogetti a sostegno delle missioni. Piccole esperienze che però ci aprivano al mondo. Accanto, c’era l’impegno in oratorio. Alcuni educatori sono stati determinanti per la mia crescita, come padre Piero Parolari, oggi missionario del Pime in Bangladesh (di recente scampato a un attentato terroristico, ndr). Uno dei miei fratelli, Gian Paolo, è poi diventato missionario del Pime ed è stato inviato proprio in Bangladesh. Anch’io sono stato in seminario per due anni, per poi capire che non era la mia strada. Allora ho cercato di realizzare quello in cui credevo in ambito sociale, prima come educatore nel Comune di Lecco, poi in un sindacato, la Cisl, e infine candidandomi a lavorare in Caritas a Lecco».
Lei è diventato vicedirettore di Caritas ambrosiana nel ’97. A quale opera svolta in questi anni è più legato?
«Il Fondo Famiglia Lavoro, lanciato dal cardinale Tettamanzi nel 2009 e poi rilanciato dall’attuale arcivescovo nel 2012. È stata un’iniziativa importante per le famiglie provate dalla crisi economica e ci ha obbligato ad evolvere: gli operatori dei nostri centri d’ascolto, per esempio, non erano preparati ad affrontare temi così complessi come la disoccupazione e la ricollocazione lavorativa. Il progetto ha avuto anche la capacità di mobilitare energie sul territorio: sono nati tanti fondi locali, creati dalle parrocchie».
Cos’è per lei la carità?
«Spezzare il pane nella vita di tutti i giorni. Saper vedere l’altro con uno sguardo che non giudica».
E la misericordia?
«Il Giubileo mi sta aiutando a capire cosa significa essere cristiano. A fare la differenza, alla fine, è proprio il compiere o meno le opere di misericordia».
Quali priorità vede da nuovo direttore di Caritas ambrosiana?
«Vedo la necessità di cambiare una cultura spaventata, lavorando per l’integrazione e con le seconde generazioni, i ragazzi nati in Italia da genitori immigrati. La futura convivenza dipende da quello che stiamo seminando oggi. Un’altra sfida è l’impegno per una maggiore giustizia economica. In fondo se molte persone sono costrette a lasciare i propri Paesi è anche a causa delle disuguaglianze e dei conflitti. Dobbiamo saper incidere sui modelli economici, a partire dai nostri stili di vita».
I NUMERI - 220 CARITAS
La Caritas è un frutto del Concilio Vaticano II. Nasce nel 1971 per volere di Paolo VI che aveva a cuore la comunità cristiana e desiderava diventasse luogo accogliente, sensibile e attento. Quest’anno è il 45° anniversario della nascita di Caritas italiana, organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana che opera in costante confronto con le Caritas diocesane, che in Italia sono 220. A Roma, dal 18 al 21 aprile, si è svolto il loro 38° Convegno nazionale che quest’anno ha avuto come tema Misericordiosi come il Padre. «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (Luca 6,36). A livello territoriale, le Caritas parrocchiali animano
le comunità locali con l’obiettivo di aiutare tutti a vivere la carità nei confronti di chi ha più bisogno.