Il vento soffia forte ma caldo: Lucilla Giagnoni sta lavorando con il mare davanti e il suono della sua voce si mescola a quello della natura. Difficile non distrarsi e continuare a scrivere: «Ogni tanto un po’ di bellezza fa bene», ci dice l’autrice della Trilogia della spiritualità e delle Meditazioni.
Oltre trent’anni di carriera: attrice e autrice, Lucilla Giagnoni ha iniziato giovanissima nella Bottega teatrale di Vittorio Gassman, nella sua città natale, Firenze. Tra gli insegnanti anche, per un breve periodo, Jeanne Moreau, l’attrice francese scomparsa a fine luglio: «Giorni intensi e importanti con una donna straordinaria, una diva, allora quasi sessantenne, che aveva già compiuto alla grande il suo percorso di attrice». Giagnoni nel 1985 entra a far parte del Teatro Settimo di Torino, la compagnia diretta da Gabriele Vacis e ci resta fino alla fine, nel 2002. «Gli attori erano anche autori. Ogni sera si creava: era il metodo di Gabriele. Si lasciava molto spazio all’invenzione».
UN TEATRO DA SALVARE
Dal 2016 Lucilla è la direttrice artistica del Teatro Faraggiana di Novara: una bella storia di cittadini che si uniscono per protestare in vista della chiusura e del conseguente smantellamento di un teatro storico, con quasi 500 posti a sedere.
«Se ne è parlato poco: la cittadinanza si è mobilitata contro la decisione di trasformare il teatro in una multisala cinematografica. È stata un’esperienza unica: si parla tanto di partecipazione nella condivisione dei beni pubblici… Stavolta si è realizzata. Si è costituita una fondazione e abbiamo concorso per il bando di gestione. È stato difficilissimo ma ce l’abbiamo fatta. Il Nuovo Teatro Faraggiana vuole essere una scuola di umanità del terzo millennio, un luogo di esperienza comune e di testimonianza, che insegni la via del saper vedere e dell’ascoltare».
Se il risultato è felice, non così il percorso, che non è stato tutto paradisiaco: «Le teste sono tante e bisogna mediare. Per raggiungere qualcosa si deve avere il coraggio di passare attraverso l’inferno. Quando si lavora in condivisione il conflitto è forse la prima realtà che si affaccia».
Del conflitto, del combattimento, Lucilla ha fatto il tema, oltre che dello spettacolo Furiosa Mente, anche della prossima stagione teatrale, dal titolo Cantare con la città: «Tutte esperienze che hanno il “con”, cioè insieme all’altro. Combatti e picchi con l’altro sulla realtà fino a trasformarla. È come battere un chiodo. Ognuno dà il suo colpo per costruire. In quel momento stiamo combattendo, stiamo plasmando la realtà. L’altro batte il chiodo con te: gli dai dignità. Ti fai da parte quando è il suo momento. Ben diversa è la guerra: inventata dagli umani per annientare l’altro, che non è più soggetto ma diviene oggetto, da negare totalmente. Non lo vedi più come essere umano, lo vuoi annullare. Purtroppo ne abbiamo esempi quotidiani».
VERSO LA FEDE CON DANTE
Lucilla Giagnoni è arrivata tardi alla fede: «Provengo da una cultura cattolica molto forte, una mia nonna era molto religiosa. Ma da adolescente e poi giovane donna provavo un totale disinteresse, ero coinvolta in tutt’altre problematiche. Pensavo non mi riguardasse». Giagnoni coltivava dai tempi della scuola di Gassman una sua passione segreta per Dante Alighieri e la Divina commedia: il drammaturgo Paolo Giuranna, che vi insegnava, aveva trasmesso agli allievi una lettura del testo molto particolare. Così Lucilla per anni la legge e la studia con tanto pudore reverenziale.
«Era il mio testo segreto. Fino all’11 settembre 2001. Quel pomeriggio in cui è cambiato tutto – mia figlia Bianca aveva quattro anni – mi sono accasciata sulla scala di casa e mi sono detta: “Qui sta arrivando l’inferno”. E il primo istinto è stato quello che ti insegnano i tuoi nonni: chiudi le finestre, fai scorte, isolati dal mondo che sta andando a rotoli, proteggi i tuoi cari. In poche ore si è percepita la fine del mondo e si è visto l’inferno. Dopo quella voglia di fuga ho avvertito però una forte spinta. Mi sono detta: ci vogliono parole per volare più in alto, parole che superino il nero dell’inferno, serve la parola poetica. E ho avuto il coraggio di ridurre Dante in spettacolo. Ricordo il mio pensiero: è la Divina commedia che ci fa uscire dall’inferno. Con le stelle che concludono ogni cantica. Io sono fiorentina, ce l’ho nel cuore, e in sette giorni ho buttato giù queste idee sulle torri, sulla salvezza, su di un mondo alla fine. Passo dopo passo è nato il testo Vergine Madre, che è cresciuto anche con l’aiuto degli spettatori a ogni rappresentazione».
Un inizio religioso che Lucilla Giagnoni definisce più poetico che spirituale. Per arrivare alla fede è stato necessario un lungo cammino. Iniziato anche con la rappresentazione di Vergine Madre nelle chiese e condiviso con altri che le hanno suggerito testi di approfondimento. «Un percorso che mai mi sarei aspettata, che non avevo deciso né stabilito: ho iniziato a studiare i testi sacri con un’ansia divoratrice che non mi ha più abbandonato, io che li credevo patrimonio solo di preti, suore e religiosi. E invece sono patrimonio di tutta l’umanità, anche di chi non ha fede».
IL TUFFO NELLA PAROLA
Per l’artista è stato fondamentale ascoltare al monastero di Bose le conferenze sulla Genesi e l’esistenza umana di un biblista belga, André Wénin, dell’Università di Lovanio. «Ho poi incontrato un amico prete che mi ha introdotta allo studio dell’ebraico: potevo leggere i testi sacri nella loro lingua! La lettura testuale mi ha aperto un mondo: è stato un incontro stupefacente, che ha alimentato la sete di conoscenza. Si può paragonare a un tuffo nel mare. Sei sott’acqua, in apnea, e vedi il cielo. Finché cominci a risalire, poco per volta, e ti avvicini al cielo. Ecco: ho avuto la sensazione di essere stata sempre in apnea».
PAROLA CHIAVE: VERGINE MADRE
Per il titolo del suo spettacolo sulla Divina commedia Lucilla Giagnoni ha scelto la citazione di un celebre passo del Paradiso. Vergine madre è un verso della preghiera di san Bernardo di Chiaravalle dinnanzi alla Madonna nel 33° canto: «Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore». Dante mette in bocca a san Bernardo una lode a Maria che celebra l’onnipotenza di Dio manifestata nel mistero dell’Incarnazione e che sovverte ogni logica: razionalmente, infatti, non è possibile che una donna sia contemporaneamente «vergine» e «madre» né figlia di suo figlio.