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Campiglio: «Votare a 16 anni? Sì perché migliora l'offerta politica»

02/10/2019  L’economista dell’Università Cattolica di Milano lo aveva proposto già nel 2004: «Nei sistemi democratici votare o non votare è un segnale diretto o indiretto degli interessi che si vorrebbe fossero rappresentati dagli eletti. Oggi i minorenni sono senza voce»

Il professore Luigi Campiglio, 72 anni
Il professore Luigi Campiglio, 72 anni

Di estendere il diritto di voto ai sedicenni si discute da almeno un secolo. Nel 2004 è stato il professore Luigi Campiglio, docente di Politica Economica all’Università Cattolica di Milano, di cui è stato anche prorettore vicario dal 2002 al 2010, a lanciare la proposta durante un congresso delle Acli che la inserirono nelle sette proposte per l’agenda politica del Paese. «Il tema», avverte Campiglio, «non va banalizzato perché da questo dipende il futuro dell’Italia. Nei sistemi democratici votare o non votare è un segnale diretto o indiretto degli interessi che si vorrebbe fossero rappresentati dagli eletti. Oggi i minorenni sono senza voce. In Austria, per esempio, è da anni che gli under 18 votano. Io sono favorevole a far votare già a 16 anni per due motivi».

Il professore, nel spiegare la sua posizione, fa una distinzione tra rappresentatività con l’anima e rappresentatività senz’anima: «Nel primo caso, il politico chiede al ragazzo di dargli il suo voto e basta, è un rapporto dove il voto è un mero strumento che obbliga il politico a preoccuparsi del suo bacino elettorale. Nel secondo, non solo lo riconosce come elettore ma anche come persona umana con le sue esigenze, idee, istanze da promuovere e rappresentare e che incide profondamente sull’agenda politica di chi siede in Parlamento». Per spiegare meglio il concetto, Campiglio cita la riflessione del filosofo ed economista John Stuart Mill che a metà Ottocento intervenne sulla questione del suffragio universale all’epoca interdetto alle donne: «Mill sostiene che il politico può impunemente trascurare senza alcun danno chi non è in grado di esprimere una preferenza elettorale. Morale: gli elettori, anche se non sempre votano, potenzialmente hanno l’opportunità di influire sulle scelte legislative ed economiche della classe politica. Dare voce politica a chi non ce l’ha obbliga il politico a tenere conto degli interessi di breve e lungo termine di chi potrebbe votarlo».

«Il carattere si forgia nei primi anni di vita»

Il secondo motivo per cui Campiglio è d’accordo è un motivo di fondo: «Il liberalismo di Einaudi affermava il principio, sacrosanto, che bisogna essere tutti uguali ai nastri di partenza della vita. Ma qual è il punto di partenza: i 16 anni? I 18 attuali? I 21 di una volta? Da un’indagine scientifica americana», spiega, «è emerso che i tratti caratteriali, comportamentali e in qualche misura cognitivi vengono acquisiti in una finestra temporale che va dalla nascita ai 5-6 anni. In questo periodo, come dimostra l’apprendimento delle lingue straniere, i bambini sono come delle spugne, assorbono tutto e in un modo velocissimo. E tutto quello che imparano ora rimane per la vita intera e ne forgia il carattere. Se questi sono i tempi, direi che a 16 anni sono abbastanza maturi per esprimere un voto».

 
 
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