«Nella lotta contro il gioco d’azzardo la Chiesa fa già molto, ma deve fare di più». Tra i più noti e battaglieri economisti cattolici (è il teorico, tra l’altro, dell’Economia di comunione, nata in seno al movimento dei Focolari), il professor Luigino Bruni, docente di Economia politica alla Lumsa, è da anni impegnato nella campagna di sensibilizzazione sull’azzardo e i suoi drammatici effetti culturali e sociali. Sa bene che molte realtà — associazioni cattoliche, parrocchie, Caritas — sono in prima fila in questa battaglia. Ma non dimentica che, anche dentro il mondo cattolico, si registrano resistenze diffuse: è il caso, ad esempio, di alcuni bar parrocchiali e circoli ricreativi (a dispetto delle severe indicazioni dei vertici) che non disdegnano le “macchinette per il gioco” perché, si sa, arrotondare gli introiti fa comodo a tutti.
Perché la Chiesa deve impegnarsi con ancora maggior convinzione su questo fronte?
«Il fenomeno dell’azzardo ha proporzioni enormi. Un anziano su tre gioca regolarmente; tante persone (anche fra coloro che frequentano le parrocchie) regalano ai nipoti i Gratta-e-vinci, senza rendersi conto del rischio di creare dipendenza. Sono quindi convinto che sia ormai tempo che i parroci parlino della questione anche a Messa, nelle omelie. Dal momento che la politica non vuole impegnarsi (il Parlamento è ostaggio delle lobby) e le imprese non rinunceranno facilmente ai loro profitti, l’unica possibilità di cambiamento è riposta nei cittadini e in chi sta dalla loro parte, come la Chiesa».
A leggere le statistiche, le conseguenze negative del gioco d’azzardo si riversano soprattutto sui più poveri e fragili…
«Oggi come ieri, tutti fanno i soldi sulla pelle dei poveri, perché hanno poco, ma sono tanti. La Chiesa, che rimane la più grande agenzia educativa, dovrebbe avere maggiore consapevolezza del suo ruolo profetico anche in questo, sulla scia del magistero di papa Francesco».
Perché un economista come lei si occupa così intensamente del gioco d’azzardo?
«Fondamentalmente perché sono un cittadino, attento a quanto accade intorno a me. Poi perché l’azzardo (che non è un gioco!) è una delle più grandi industrie del nostro Paese, visto che vale circa 90 miliardi di euro di fatturato l’anno. Infine perché si tratta di un esperimento perfetto di economia legale incivile e illecita».
Giudizio pesante…
«Guardiamo a quanto accaduto in pochi anni. Diverse aziende si sono convertite alla gestione del gioco d’azzardo (la De Agostini, ad esempio, ha fatto nascere Lottomatica, oggi la prima realtà del settore, finanziata anche da varie banche). Si calcola che il 25% degli imprenditori under 35 lavori nel settore dell’azzardo, dove si fanno facilmente soldi. Negli anni della crisi abbiamo assistito alla chiusura di una quantità impressionante di piccoli artigiani (panetterie, mercerie…), mentre, in parallelo, sono state aperte molte sale Bingo. Questo fenomeno è in linea con la tendenza comune a tanti imprenditori che sono diventati speculatori, affittando o vendendo aziende a fondi di investimento dediti alla speculazione sui mercati internazionali. L’azzardo è la punta di iceberg: “sotto” c’è un universo culturale, formato da persone che subiscono il fascino perverso di arricchirsi lavorando il meno possibile, la ragione della crisi in cui siamo immersi».
Come siamo arrivati a questa situazione?
«L’azzardo era illegale fino al 1993, fino ad allora per giocare si doveva per forza andare nei casinò. Poi il governo decise di fare cassa, affidando l’azzardo ai Monopòli di Stato, legalizzando ciò che era illecito fino a poco prima. È stato l’inizio di un declino economico, politico e morale: il segnale di una malattia molto più profonda».
C’è chi dice che l’obiettivo fosse quello di combattere il gioco illegale…
«Non è così: oggi il gioco legale è cresciuto nell’ordine del 2.200%, ma non è affatto calato il fatturato di quello illegale».
Lei sostiene, conti alla mano, che l’azzardo produca effetti negativi anche per lo Stato. Perché?
«Se ogni anno decine di miliardi finiscono nella spesa per l’azzardo significa che vengono sottratti ad altri tipi di spesa. Ciò riduce fatalmente il profitto delle industrie sane, con tutti gli effetti che questo comporta in termini di posti di lavoro (non dimentichiamo che, al contrario, l’indotto prodotto dall’azzardo è ridottissimo). Fossero investiti altrove, quei soldi darebbero gettito allo Stato sotto forma sia di Irpef, sia di Iva. A questo aggiungiamo i costi sociali, cui tocca porre rimedio spendendo soldi pubblici. Il meno che si possa dire è che il governo si dimostra miope: non solo distrugge il tessuto civile, ma fa anche meno soldi di quelli che potrebbe fare».
Le associazioni che si battono contro l’azzardo fanno pressing sulle istituzioni e la politica per cambiare le leggi, ma sin qui senza risultati decisivi. Secondo lei il semplice cittadino può fare qualcosa?
«Certo, si possono adottare una serie di comportamenti virtuosi, che chiamo “esercizi di cittadinanza attiva”. Quando si entra in un bar o si va all’edicola, basterebbe guardarsi attorno con attenzione: se il negoziante vende Gratta-e-vinci o prodotti del genere, si può esprimere ad alta voce la propria contrarietà, in modo educato, rinunciando al caffè o evitando di acquistare il giornale. Parlo di una forma di obiezione di coscienza che è un modo di dire che non si vuol essere complici di un sistema perverso. In positivo, si possono invece premiare coloro che adottano criteri etici. è quanto facciamo da quattro anni con il movimento Slotmob, che ha premiato oltre 200 bar virtuosi in tutto il Paese. Dobbiamo continuare, ora che si iniziano a vedere i primi segnali da parte del governo».