Alla fine la tecnologia rischiò di riuscire dove fallirono  Pier Luigi Bersani, ma anche Giulio Tremonti e poi Mario Monti, ovvero scalfire una categoria potentissima e trasversale come quella dei tassisti italiani. Uber, l’app che sostituisce le prenotazioni via radio e telefono tradizionali mettendo a disposizione un’auto con autista a prezzi meno elevati, sta creando seri problemi ai tassisti nostrani e anche alla categoria del trasporto pubblico, dai tram agli autobus. Dopo la sentenza che ha accolto il ricorso di un driver Uber multato come tassista abusivo, la reazione, come al solito, non si è fatta attendere: manifestazioni, comizi, sit-in- blocco del traffico al grido di “Je suis Taxi”.

Una crociata sostenuta anche dal ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Maurizio Lupi, che sul tema era stato piuttosto categorico: «Qualsiasi app o innovazione che eroghi un servizio pubblico non autorizzato compie un esercizio abusivo della professione: non è permesso e non si può fare, che si chiami Uber o in qualsiasi altro modo». Qualche ragione contro il “ride sharing” i tassisti e i noleggiatori privati – in questo caso uniti nella lotta -  ce l’hanno: si tratta di un servizio pubblico ma privato allo stesso tempo, non normato, fuori da ogni regola e ogni prescrizione, a differenza del servizio taxi obbligato a rispettare licenze, turni, assicurazione, regole  e costi supplementari. Per i concorrenti invece basta una macchina, una patente e uno smartphone. Ma ci sono anche le prerogative dei clienti rispetto a un servizio che rimane mediamente tra i più costosi d’Europa, chiuso, a discrezione dei tassisti per quanto riguarda gli orari. Per cui se è vero che si vedono spesso colonne di taxi fermi, capita spesso, in determinati giorni, che al telefono una voce risponda che il servizio non è disponibile.

I tassisti sono una corporazione potente, alleata spesso dei Comuni, che li vedono come un serbatoio elettorale e anche un veicolo di propagazione culturale e politica. Inoltre sono spesso alleati dei mezzi pubblici, anch’essi sottoposti alla concorrenza spietata di questa liberalizzazione tecnologica. La soluzione probabilmente sta nel mezzo, nel pretendere il rispetto delle normative che devono valere per tutti, ma anche nell’accettare un minimo di riforme graduali destinate ad allargare nel lungo periodo l’offerta – anche col rischio di abbassare il valore delle licenze – oltre a risposte sul fronte dell’innovazione  tecnologica. Quanti tassisti dispongono di Pos e carta di credito? Quanti aderiranno alla nuova app destinata a mettere in rete i tassisti italiani? Piangere, protestare, strepitare e bloccare il traffico per mantenere i propri privilegi, perché tutto rimanga com'è, non può bastare. In tempi di crisi e di globalizzazione, anche i tassisti devono rimettersi in gioco. Anzi, di fronte ai progerssi tecnologici e sociali, può diventare molto pericoloso.