Il ciclismo è in crisi? Sì lo è perché non è più credibile. E non vale l’argomento secondo cui sarebbe l’unico sport che cerca i suoi corrotti. Non vale, perché quando li cerca li trova a piene mani. E dunque è corrotto, regala vittorie con la data di scadenza. Non che gli altri sport siano migliori: il calcio annega nelle scommesse e nelle partite truccate (e anche nel doping che cerca poco e male) e pure l’atletica non scherza, altri probabilmente nascondono le magagne sotto il tappeto. La credibilità è sottoterra.
Eppure, si dice, la gente va a vederli. Appunto. Ma non li va a vedere perché sono credibili e sani, li va a vedere perché sono un giocattolo poetico, fatto di fatica e di bellezza, cui il pubblico vuol credere a tutti i costi come fanno i bambini già grandicelli che non vogliono arrendersi all’idea che la Befana non esiste. E infatti, quando un giornalismo che ancora cerca di fare e farsi domande prova a svelare i trucchi - anche se non è comoda la parte del grillo parlante- il pubblico si tappa le orecchie, chiude gli occhi per non vedere il suo giocattolo rotto.
Purtroppo ha ragione il magistrato Raffaele Cantone: nessuno vuol sentire parlare delle brutture dello sport anche quando - sempre più frequentemente -le sue vicende vanno a braccetto con il codice penale, perché nessuno ama sentirsi dire che ha una fidanzata di facili costumi. Forse è vero, come scrive Ormezzano, che la passione per lo sport, che resiste all'inquinamento, è specchio del Paese, ma forse lo è nell'accezione meno nobile: lo è nel senso che siamo un popolo con una lunga coda di paglia, sempre propenso a chiudere un occhio sulle mancanze altrui, specie se fanno comodo alla nostra causa.
Non ci fa onore, ma se all’estero ci vedono come un popolo disonestello e sempre bambino, che crede alla Befana e non si assume le sue responsabilità un motivo c’è. Nessuno dice che si debba smettere di amare lo sport e il ciclismo, anzi. Ma chi gli vuole davvero bene, soprattutto il suo pubblico, che lo nutre e lo tiene in vita, dovrebbe pretendere dallo sport uno spettacolo autentico, a costo di affrontare ogni tanto a muso duro l'oggetto del suo amore, invece di accettare passivamente di avere un cesto di lumache in testa facendo finta, per quieto vivere di non accorgersene.