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domenica 18 maggio 2025
 
 

Ma chi sono i "terun" del Nord?

30/12/2011  In Parlamento e fuori, la Lega continua a fare "ammuina" contro Monti e Napolitano: ma non era il Carroccio al governo fino a un mese fa?

“Facite ammuina”. L’imperativo serpeggia tra le fila del Carroccio. E l’ammuina i fidi e disinvolti parlamentari leghisti la stanno facendo, con la solita verve, anche se senza troppa convinzione. "Vergogna!", "Basta tasse!". La bagarre e l'ostruzionismo visti tra gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama parevano, più che proteste, recite di una (stanca) compagnia d'avanspettacolo. Se la Lega avesse voluto fare una sana battaglia di popolo, pur con qualche rischio di deriva demagogica, avrebbe potuto battersi contro gli insopportabili privilegi e le "cadreghe" della casta politica, cosa da cui si è guardata bene dal fare. Il vero problema è che la Lega deve far dimenticare ai suoi elettori anche con gazzarre e variété di essere stata al governo fino a una manciata di settimane fa, contribuendo a portarci sull’orlo del baratro a suon di tasse, inconcludenti e costosi progetti federalisti e altre “quisquilie e pinzellacchere”, come direbbe Totò, visti i veri e gravi problemi che incombevano. Dando addosso agli immigrati, una delle risorse a disposizione per la crescita e la ripresa di un Paese anziano e in declino.


Oggi non resta che rovesciare la frittata e raccogliere il malcontento per la manovra lacrime e sangue, come gli speculatori che giocano allo scoperto sui mercati: tanto peggio tanto meglio. E' questa la strategia del loro leader. Alla gazzarra in Parlamento della Lega hanno fatto eco in varie sagre leghiste, come la “Berghem Frecc”, gli insulti, i fischi e le grevi ironie di un sempre più stanco Bossi all’indirizzo di Monti e soprattutto del Capo dello Stato Napolitano, l'uomo che ha riportato tutti coi piedi per terra e ha ridato vigore al senso di unità nazionale. Da chi stava vicino al leader del Carroccio sul palco è arrivata  anche una voce che indicava le sue origini partenopee: “Non sapevo che l'era un terun”, ha chiosato Bossi, dando sfogo al solito retro pensiero leghista, che è quello dell’antimeridionalismo.

 
A leggere tra le righe del vilipendio c’è tutta la difficoltà di un leader alle prese con una crisi epocale, incapace di disincagliarsi dalle contraddizioni di un partito ormai inadeguato non solo nel dare risposte, ma anche nel cogliere i veri problemi del Paese, quelli della gente. Che non sono la pretesa paura per lo straniero, il bisogno di sicurezza, i localismi o le autonomie. Gli italiani vogliono soluzioni a problemi più incombenti, che sperimentano ogni giorno nelle proprie case: la recessione economica, il lavoro, il declino, i giovani, la perdita di potere d'acquisto dei loro stipendi, le tasse, la benzina che sale sempre di più. Problemi non certo di un mese fa. Dov'erano i leghisti che sono stati al potere bene o male per oltre un decennio? Bossi cerca di far dimenticare di aver governato fino a un mese fa, facendo ammuina, tirando in ballo secessioni, indipendenze, parlamenti del Nord, padanie. I suoi pretoriani lo seguono ineffabili. Come se nulla fosse successo. Tarallucci e vino per tutti. Insomma: “Chi ha avuto ha avuto/ chi ha dato ha dato, scurdammoce o passato, simme  padani, paisà”. Alè, tutti a fare opposizione, dai che l'anno prossimo si vota. E alla fine ti salta l’ombra di un sospetto: ma chi sono i veri, autentici, squisiti, impareggiabili  “terun” del Nord?

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