Rom, l'Italia va incontro a procedura di infrazione
Il dibattito è tornato quanto mai acceso sulla gestione dei campi, sia perché il tema è abilmente sfruttato da vari politici, sia perché dalle indagini che hanno scosso il Comune di Roma e le collusioni di molti politici con una cupola di stampo mafioso è emerso, tra l'altro, che quello dei rom sia un business molto redditizio su cui in tanti hanno messo le mani e non certo con spirito caritativo.
L'Italia, peraltro, nota in Europa proprio come “il Paese dei campi rom”, pareva aver capito e puntare su altre soluzioni, differenziate e calibrate caso per caso.
Tutto o quasi, però, è rimasto sulla carta. Mancano del tutto le indicazioni per tradurre in atti concreti le linee guida. I campi monoetnici restano situazioni che di fatto generano segregazione e riguardano, tra campi formali e informali, circa 40 mila rom e sinti. Resta altissima l'esclusione sociale e lo stigma con cui gli appartenenti a queste comunità sono percepiti, tanto che chi lascia i campi per soluzioni abitative stabili o chi riesce a inserirsi nel mondo del lavoro si trova costretto a nascondere la propria origine, per evitare l'isolamento.
Tutto ciò genera di riflesso una diffidenza da parte delle comunità rom, che faticano ad essere incluse in percorsi virtuosi e a esprimere in maniera significativa una propria rappresentanza che vada al di là dei casi concreti e delle emergenze locali, per dar voce alle loro comunità in maniera più complessiva.
Cosa si può fare?
Esistono, tuttavia, anche esperienze positive, esempi pilota, piccole realtà che sperimentano nuovi percorsi. La Regione Toscana è spesso citata come modello per le pratiche avviate sia per le questioni abitative, che per l'inserimento scolastico e la scioltezza burocratica nel riconoscimento della cittadinanza ai ragazzi al compimento del diciottesimo anno di età, fino ad arrivare a piccoli esperimenti innovativi, come quello che a Sesto Fiorentino ha inserito quattro giovani nel percorso del servizio civile, un elemento potente di integrazione, poiché pone il ragazzo rom dall'altra parte della scrivania. «Un progetto espandibile a costo zero», ha sottolineato Giovanni Lattarulo, dirigente della Regione Toscana.
Il progetto “Pairs” è biennale che coinvolge cinque Paesi: oltre all'Italia, ci sono Albania, Bulgaria, Romania e Ungheria, con l'obiettivo di studiare e condividere le proprie esperienze positive in termini di inclusione della popolazione rom. Finanziato dall'Unione Europea, in Italia vede come partecipanti il Comune di Ferrara, Opera Nomadi e il già citato CeAS. I partner europei, studiando e visitando alcune esperienze italiane, ne hanno scelte tre: il progetto Villaggio Solidale del CeAS (che coinvolge 15 famiglie rom rumene, accompagnate in un percorso di autonomia), la cooperativa Ies (composta da due rami, uno maschile per il recupero e la ricostruzione di bancali e uno femminile che ha avviato una sartoria e stireria) e la Casa della Carità col suo percorso per la chiusura del campo regolare di via Triboniano a Milano.
Tre esempi concretissimi, che mostrano vie possibili e percorribili sul terreno ancora accidentato dell'integrazione.
Con un limite, come sottolinea la dottoressa Benedetta Castelli del CeAS: “Le buone pratiche ci sono, ma resta difficile coinvolgere i decisori politici. Solo alcune Regioni hanno un tavolo apposito e solo pochi Comuni hanno un quadro d'intervento o linee guida proprie. Ma c'è anche la fatica di fare rete delle associazioni, la segmentazione delle esperienze – sia nelle istituzioni che nelle associazioni – non aiuta, tanto più in un sistema che prolunga i tempi, limita e non agevola il nostro lavoro».
Le difficoltà restano dunque tantissime, in un contesto culturale in cui la popolazione maggioritaria tende a condannare qualunque decisione e intervento proposto o attuato dalle autorità comunali o regionali a favore di rom e sinti. Occorre dunque con urgenza che la politica si assuma la responsabilità di dar seguito agli impegni assunti due anni e mezzo fa, come chiede l'Associazione 21 Luglio, raccomandando tra l'altro di dar seguito all'impegno preso per il riconoscimento dei rom come minoranza nazionale, includendoli nella legge 402 del 1999 sul riconoscimento delle minoranze, di promuovere politiche abitative che puntino al definitivo superamento dei campi, e infine che il governo Renzi renda davvero autonomo e indipendente l'Unar, il Punto di contatto nazionale per l'applicazione della strategia.
Ma soprattutto, resta prioritario un lavoro culturale di formazione e informazione che smantelli luoghi comuni e pregiudizi.