I giovani italiani, oltreché bamboccioni, sono anche disimpegnati e individualisti. Lo dicono chiaramente i numeri: sarà l’ovvio commento di molti che non perderanno l’occasione per stigmatizzare la scarsa partecipazione dell’ultima generazione alla vita sociale e politica del nostro Paese. L’occasione gliela offrono i risultati dell’ultimo “Rapporto Giovani”, realizzato dall’Iscos per conto dell’Istituto Toniolo, e presentato in questi giorni. In essa circa due terzi dei giovani interpellati affermano di non aver mai fatto esperienze di volontariato; e del terzo restante solo un misero 6% vi si dedica con assiduità. Evvai. Basta e avanza per emettere sentenza di condanna, senza attenuanti: le nuove generazioni sono definitivamente perdute, chiuse nel loro egoismo.
Ma è davvero l’analisi giusta o si rischia l’ennesima semplificazione che non aiuta a decifrare le complessità dei fenomeni che attraversano l’attuale l’universo giovanile? Lungi da noi affrontare qui l’arduo discorso delle indagini sociologiche e la “guerra” dei numeri: volendo farlo, c’è sempre il penultimo studio che con i suoi risultati sembra dar contro alle risultanze dell’ultimo. Ma non c’è motivo per dubitare di questi dati, anzi. C’è solo da ragionarci un po’ su, per leggerli nelle pieghe e trarne, se possibile, una qualche idea che torni utile per la comprensione del reale.
Per esempio, perché non capovolgiamo il punto di vista: invece che lapidare sommariamente i giovani, perché non proviamo a pensare che forse il variegato mondo del volontariato italiano, non indenne da crisi d’identità, sta facendo ben poco per attrarre i ventenni nelle associazioni, per conquistarsi attenzioni e adesioni? Stessi numeri, analisi opposta, insomma. Vogliamo proseguire col gioco e andare a vedere l’impegno dei giovani in una formazione politica? Solo un residuale 1,7% dichiara di essere un attivista dentro un partito. Da dove viene questo evidente disincanto? Da una deriva egoistica causata da una misteriosa mutazione genetica che colpisce chi è sotto i 29 anni? Non sarà invece perché i politici “di professione”, la classe politica in quanto tale ha dato per lustri pessimo esempio di sé, coltivando scandalosamente “interessi privati” e screditando del tutto il nobile impegno per il bene comune? Vogliamo, infine, parlare di quanto ci abbiano messo del loro gli ultimi governi per soffocare l’entusiasmo dei giovani nei confronti dell’impegno nel Servizio civile? E’ solo colpa dello Stato se in sette anni i posti disponibili sono precipitati da oltre 57 mila all’attuale miseria di 15 mila, ma non perché ci fosse il disinteresse dei giovani: in 70 mila ne avevano fatto richiesta nell’ultimo anno.
Quello, insomma, che potrebbe indicarci l’indagine del Toniolo è quanto qualcuno non vorrebbe sentirsi dire, e cioè che esiste una generazione, non certo quella dei ventenni, ma quella dei loro padri, che ha fatto di tutto, ma davvero di tutto, per spegnere i desideri di protagonismo solidale, gli slanci altruistici, le idealità generose dei figli. E se ciò non bastasse ha consegnato loro, in cambio, la maggior incertezza economica dal dopoguerra, l’impossibilità di trovare un posto di lavoro e il macigno di uno dei debiti pubblici più alti del mondo. Altro che padri assenti, almeno in questo ambito. Colpevolmente presentissimi, purtroppo.