«L’Italia è senza una maggioranza di Governo»: è stata questa la prima notizia battuta dalla stampa estera dopo il voto del 4 marzo scorso. Ed è così. Ha vinto il centrodestra (37%), perso il centrosinistra (22,85%), stravinto il M5S (32,6%), se si considera che il secondo partito, il Pd, si è arrestato al 18,72%. Come una burrasca il consenso elettorale si è infranto sulle appartenenze politiche moderate e ha premiato la Lega,sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, e il M5S per aver saputo intercettare temi come la protesta economica, la legalità e la disoccupazione. È un Paese dipinto da due colori, verde al Nord e giallo al Sud, con alcune chiazze rosse al Centro, che ha scelto due forze antieuropeiste capaci di canalizzare le paure sociali e la speranza di cambiamento. Gli scenari possibili sono molti, ma senza dialogo e senso di responsabilità per il bene di tutti, prima che del proprio, ogni situazione sarà destinata a scontentare tutti.
Occorre non dimenticare che la legge elettorale – che ha premiato la rappresentatività e mortificato la governabilità – è stata voluta da un accordo tra Pd, Lega e Forza Italia. Ad averne beneficiato è stato Salvini, a subirne le conseguenze saranno le riforme di cui il Paese ha bisogno. Una domanda ci sta a cuore pensando all’eredità che ha lasciato DeGasperi al mondo cattolico: il nuovo Governo sceglierà di costruire l’Europa di Macron e della Merkel? Oppure quella dell’asse della destra del gruppo Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria), che da anni si oppone all’accoglienza dei richiedenti asilo nell’Unione europea? Da questa scelta dipenderà la credibilità dell’Italia davanti all’Ue. Il tempo dirà se i programmi delle forze politiche che escono vincitrici sono un sogno da realizzare o utopie da dimenticare.
È vero, in politica vince chi convince, ma il voto esprime l’impegno per costruire un nuovo processo. L’elettorato cattolico – il cui voto è stato distribuito su quasi tutte le principali forze in campo – è chiamato a questa responsabilità. Rimanere indifferenti, affermando «tanto sono tutti uguali», significa abdicare alla testimonianza politica del credente nel mondo. Non sono tutti uguali. Proviamo a partire da qui, dalla capacità di distinguere. Per ritornare a essere coscienza critica del Paese ed essere «l’anima nel corpo», occorre anzitutto ritornare a discernere comunitariamente per promuoverele scelte politiche conformi al Vangelo e ai princìpi della Dottrina sociale. E fare obiezione di coscienza su ciò che è contrario.
Certo, la sfida in politica per la Chiesa in Italia rimane quella culturale ed educativa. Ma occorre riscoprirsi enzima dei territori per connettere realtà buone che non si parlano più. La costruzione del pensiero politico si è già incanalata in luoghi diversi dai partiti, come i think tank, le sedi di alcune autorevoli riviste, le pratiche virtuose di molti enti intermedi, la gestione politica dei beni comuni, l’organizzazione sussidiaria di cittadini che promuovono nuove politiche e anticipano quella fatta nelle sedi istituzionali. A questo nuovo corso dobbiamo crederci e, soprattutto, chiederci: da credente come posso portare un mattone in più per la costruzione della mia città?
L’esperienza di Chiesa vissuta alla Settimana sociale di Cagliari offre un metodo possibile per le nostre comunità: denunciare le politiche che umiliano la dignità delle persone; narrare le buone pratiche nate nel territorio; formare e sostenere le persone vocate alla politica; dialogare con le istituzioni su progetti concreti. Lo insegnava Orazio, dimidium facti, qui coepit, habet, chi ben comincia è alla metà dell’opera.
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