«Cari studenti, stanno per iniziare le lezioni. Presto ci conosceremo e avremo modo di chiarire diversi aspetti che riguardano gli obiettivi e l’organizzazione del corso. Desidero annunciarvi che non vigilerò per evitare che voi copiate, durante l’esame o nel preparare altri testi scritti, perché in coscienza non posso chiedere a voi il rispetto di regole che l’Università di Bologna permette a noi professori di violare».
La notizia della cosiddetta "Licenza di copiare" ha fatto il giro dei media. E non sono mancate le critiche di chi ha visto nel messaggio un che di diseducativo a prescindere dal contesto. Ma sarebbe parziale leggere la lettera aperta del Prof. Lucio Picci, ordinario di Politica economica dell’Università di Bologna, pubblicata sulla sito personale del docente e linkato nella sua pagina sul sito dell’Ateneo, come un’esortazione alla disonestà, sintetizzando il tutto in un: «Cari studenti, io qui vi esorto alle copiature».
Perché il tono, al di là dell’esordio, non è quello: si tratta di una denuncia dura e circostanziata in tema di “plagio” in pubblicazioni accademiche, l’accusa che in Germania costò le dimissioni a ben due ministri, uno della Difesa e a uno del’Istruzione. Lucio Picci adopera parole parecchio forti, cui seguono dettagli e circostanze molto precise riguardo a casi che secondo la denuncia sarebbero stati noti e vagliati ma non sanzionati adeguatamente. Mancano solo i nomi (che però c’erano nella lettera allegata inviata precedentemente al Consiglio d’Amministrazione dell’università).
Il professore, assumendosi una forte responsabilità, compreso ovviamente l'onere della prova in un'eventuale contestazione, ha pubblicato la lettera il 26 settembre, pochi giorni dopo che Raffaele Cantone presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione aveva indicato altri mali accademici: «fenomeni di nepotismo e mala amministrazione» come «una delle cause concorrenti alla fuga dei cervelli» e pochi giorni prima della Notte Europea dei Ricercatori che il 30 settembre coinvolge in iniziative di Scienza aperta al pubblico le Università italiane e le piazze italiane.
«Cari studenti», ha scritto Picci, «contestualmente alla pubblicazione di questa lettera, chiedo al Rettore di avviare nei miei confronti un procedimento disciplinare, dato che vigilare affinché voi rispettiate certe regole fa parte dei miei doveri».
E ancora: «Ma se tutto questo (la denuncia) è forse inutile, perché farlo? Per coscienza. Consideriamo infatti cosa accade quando siete voi a copiare. Pochi mesi orsono, il Senato accademico ha sospeso per tre mesi una studentessa, sorpresa durante un esame con un telefono e un auricolare nascosto. Il fatto è stato accertato, vi è stata una sanzione, e ne hanno scritto i giornali. Ma con voi io rappresento l’Università di Bologna, e il nostro Statuto recita che siamo una “comunità di studenti, professori, e personale tecnico amministrativo”: se siamo impuniti noi professori, che lo stesso valga per voi studenti. È un'ipocrisia insopportabile, e il mio rifiuto è obiezione di coscienza».
Il professore ne fa una questione di coerenza anche perché all’Università si occupa di "temi all'intersezione tra le discipline economiche, l'economia dell'innovazione tecnologica e le scienze politiche. (…) la corruzione, e il ruolo degli incentivi reputazionali nelle politiche pubbliche” e mette il diritto d’autore tra le materie del programma del corso.
Alla luce di queste spiegazioni la prospettiva cambia. L’invito a copiare si trasforma per gli studenti destinatari in un invito a riflettere della coerenza tra ciò che si insegna (e si studia) e ciò che si fa, in un’esortazione alla responsabilità, a costo di incontrare qualche fastidio personale. Anche perché l’Università, che per voce del Rettore ha rimarcato al Corriere della Sera l’intenzione di non rispondere al professore sui media, potrebbe decidere di rispondergli in altri luoghi: per le vie disciplinari e magari legali.
E allora anche l'obiezione secondo cui la lettera suonerebbe comunque diseducativa in sé, si sgonfia un po', perché il messaggio cambia: non più licenza di copiare ma dovere di coerenza, assunzione di responsabilità conseguenze comprese.
Non solo, se è vero che, nel combinato disposto delle loro dichiarazioni pubbliche, Raffaele Cantone e professor Picci hanno indicato una luna preoccupante, sarebbe uno spreco ora concentrare tutta l’attenzione sulla provocazione della licenza di copiare, che poi è il dito che indica la luna, e non cogliere l’occasione per esortare le istituzioni, non solo accademiche, a fare chiarezza in ogni cratere.
E per gli studenti del Professor Picci, la cui presa di posizione sta facendo discutere a Bologna studenti e professori, la lezione di assunzione di responsabilità non è ancora finita: il prof infatti ha annunciato un referendum. Se gli iscritti al corso sottoscriveranno un patto antiplagio, vigilerà per evitare che si copi, se non lo sottoscriveranno deciderà di non farlo.