La pena di morte è sempre motivo di contrasto tra gli Stati che l’hanno abolita e quelli che la mantengono in vigore. È difficile giudicare quale comportamento sia migliore, considerato il proliferare di eventi delittuosi in tutto il mondo. Quando però un assassino, in luogo della pena di morte, è condannato all’ergastolo, a fronte della sua perdita di libertà si condanna la società civile a fornirgli per tutta la vita un servizio di sorveglianza, alloggio, cibo e bevande, istruzione tecnico-pratica per occupare i tempi di noia...
Nella Bibbia, il libro dell’Esodo riporta che Dio, sul Monte Sinai, rivela a Mosè i comandamenti, fra i quali spicca il «Non uccidere». Tuttavia lo stesso libro, poco più avanti, afferma che «chi colpisce a morte un uomo sarà messo a morte» e la stessa sorte è prevista per altre gravi mancanze verso i propri simili.
Passando ai Vangeli, troviamo in Giovanni che tale pena era riservata alla donna adultera. Gesù, però, con uno stratagemma, riesce a farla perdonare. Non ho trovato altri chiarimenti in merito alla possibilità di pentimento né di castigo per gravi reati commessi. Nel Vangelo di Matteo, alla domanda di Pietro: «Quante volte potrà peccare mio fratello e io dovrò perdonarlo? Fino a sette volte?», Gesù rispose: «Non dico fino a sette volte, ma a settanta volte sette». Nulla però viene precisato circa la gravità delle mancanze commesse.
Sempre nel Vangelo di Matteo si legge: «Chi poi scandalizzerà qualcuno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse messa al collo una macina da asino e fosse affogato nel profondo del mare», e ancora, sintetizzando: «Se la tua mano, il tuo piede o il tuo occhio sono occasione di scandalo, ti conviene troncarli e gettarli via; è meglio per te entrare nella vita monco, zoppo e orbo, anziché essere buttato integro nel fuoco della Geenna». Mi pare sia adombrata l’idea che se una persona ferisce un suo simile con armi, acido o fuoco, potrebbe essere sottoposta in giudizio allo stesso trattamento, affinché possa sperimentare la gravità del suo gesto malvagio e in tal modo riscattarsi. Tuttavia penso che, per noi moderni, la locuzione «occhio per occhio, dente per dente» sia ormai obsoleta.
Comunque è ovvio che se in un mucchio di mele ne trovi una bacata, non la metti da parte in attesa che ne esca il bruco per poi rimetterla con le altre, con il rischio che chi la trova ne sia disgustato, ma la getti immediatamente tra i rifiuti liberandotene per sempre. Sarebbe gradito su questo scritto avere un suo illuminato parere. Grazie.
CARLO RE
Il tema della pena di morte ogni tanto torna alla ribalta, soprattutto di fronte a delitti efferati o a violenze inaudite. In diversi Stati è ancora in vigore. I dati statistici, tuttavia, dimostrano come non sia mai un vero deterrente contro i crimini, che anzi continuano a proliferare. Lo scopo principale che ha questa pena, cioè la difesa della società, non viene di fatto mai ottenuto.
Ma cosa dice la Bibbia in proposito? Nel tuo scritto, caro Carlo, citi diversi passi. Bisogna tuttavia ricordare che la Sacra Scrittura non è un manuale pronto all’uso con risposte puntuali a ogni problema. È invece il libro che racconta la storia del dialogo e dell’incontro tra Dio e il suo popolo e l’umanità intera. C’è un cammino in questo dialogo. Che per noi cristiani culmina in Gesù Cristo. Il punto di partenza è il comandamento «Non uccidere». Che ha un valore assoluto, non sempre percepito lungo la storia. Gesù stesso però, nel discorso della montagna, lo riprende e lo radicalizza: anche chi si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio. Non si tratta però di estendere la pena di morte. Poco più avanti, al contrario, Gesù supera il detto «occhio per occhio, dente per dente» dicendo di non opporsi al malvagio, anzi arriva a chiedere di amare i nemici e di pregare per i persecutori. Tra l’altro il precetto «occhio per occhio...» sottolineava solo che la pena doveva essere proporzionata al delitto, non superiore. Quindi, anche le espressioni di Gesù sulla macina da mulino e sugli organi da gettare via sono da intendere come iperboli per capire la radicalità della scelta per il Vangelo, che ci chiede di evitare il male, specialmente contro i più deboli, e di scegliere sempre il bene e l’amore.
Mi sembra chiaro, dunque, l’insegnamento generale di Gesù sul comandamento «Non uccidere», che egli ripropone in positivo come amare e perdonare tutti e sempre, anche i nemici. La riflessione teologica ha cercato nei secoli di rispondere anche ai casi concreti, come quello della cosiddetta legittima difesa e della pena di morte. Il Catechismo della Chiesa cattolica, a questo proposito, ammette la legittima difesa, che può anche portare alla morte dell’altro, e ammette pure la pena di morte. Cerchiamo però di capirne bene il senso.
Nel n. 2263 si legge che «la legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in cui consiste l’omicidio volontario». Si tratta solo di un effetto «preterintenzionale». D’altra parte la difesa è legittima solo se è proporzionata all’aggressione subita. Mi pare, tuttavia, che in questo modo rimaniamo all’interno dell’«occhio per occhio». Gesù, invece, dice chiaramente di non opporsi al malvagio...
Riguardo alla pena di morte, il Catechismo la ritiene ammissibile. Da notare, però, che usa sempre espressioni attenuate. «L’insegnamento tradizionale della Chiesa», si legge, «non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani». Ma poco dopo si aggiunge che «i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti”».
L’ultima citazione viene da Giovanni Paolo II e ci introduce nel magistero degli ultimi Papi. Già Karol Wojtyla aveva chiesto una moratoria internazionale contro la pena di morte, «dal momento che lo Stato oggi dispone di altri mezzi per reprimere efficacemente il crimine, senza togliere denitivamente al reo la possibilità di redimersi». Lo stesso hanno ribadito Benedetto XVI e Francesco. Alla base non c’è solo il valore assoluto del comandamento «Non uccidere», ma anche la difesa della vita dal concepimento alla sua fine naturale e inoltre la dignità stessa di ogni persona, anche del malvagio, del nemico.
D’altra parte, qual è il senso di ogni pena? Non solo la difesa della società, ma anche il recupero della persona. Nessuno è necessariamente una mela marcia per sempre. Ogni persona è stata creata a immagine e somiglianza di Dio. Come ha detto papa Francesco, «non c’è nessuna pena valida senza la speranza! Una pena chiusa in sé stessa, che non porta alla speranza, è una tortura, non una pena». In conclusione, alla luce del recente magistero pontificio, penso che le espressioni del Catechismo sulla pena di morte siano denitivamente superate.