Non sappiamo quanto crudele ancora sarà la vita nei confronti di Giovannino, il bimbo nato in estate con la fecondazione eterologa all’ospedale Sant’Anna di Torino e abbandonato dai genitori perché soffre dell’ittiosi arlecchino, una malattia genetica della pelle terribile, a dispetto del nome quasi pittoresco, dove anche un respiro può essere letale. La sopravvivenza, per bimbi con questa malattia, è un miracolo quotidiano. Quando la devi affrontare senza una mamma e un papà che si prendono cura di te, dopo averti messo al mondo, lo è ancora di più.
Nel groviglio degli affetti umani, dovremmo saperlo, non c’è nulla di scontato e persino la Scrittura, più realistica di tante altre letture banalmente consolatorie, lo ricorda con spietatezza: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?». La risposta è sì: «Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai».
Giovannino, intanto, resiste, ha superato, spiegano i medici, la fase critica dei primi mesi di vita e va avanti. Ha trovato tra gli infermieri e i medici dell’ospedale torinese la sua provvisoria famiglia adottiva. Le infermiere lo portano in giro nel reparto, gli fanno ascoltare musica (e Giovannino sembra gradire), qualche uomo di buona volontà gli ha regalato giocattoli e vestiti. Da quando la sua storia è stata raccontata sulle colonne de La Stampa, il centralino del Sant'Anna è stato preso d’assalto dalle telefonate di persone che chiedono di prendersene cura. «È stata un’esplosione di telefonate», ha detto il direttore del reparto di terapia intensiva neonatale Daniele Farina, «lui è pronto per andare a casa anche subito se si trova una famiglia, ma tutte le richieste devono passare dall'ufficio Casa dell'Affido del Comune di Torino. Gli italiani sono un popolo di grande cuore. Io ho grande rispetto per chi deciderà di prendersene cura perché questo comporta un grosso impegno».
Quelle domande terribili che lacerano più della malattia
S’è fatto avanti quel prodigio di carità organizzata che è il Cottolengo offrendosi di accogliere Giovannino e realizzare un altro dei miracoli quotidiani che spesso rimangono sconosciuti al media system sempre affamato di storie un po’ estreme com’è questa. Per la legge italiana, infatti, l'ospedale può farsi carico del bimbo solo fino al sesto mese di vita. Il tempo sta scadendo e la battaglia di Giovannino richiede soldati forti e risoluti al suo fianco. Chi ha l’ittiosi arlecchino, dicono gli esperti, spesso non arriva all’adolescenza. La mortalità è molto alta. Per ora, come ha detto Farina, «Giovannino ha quaranta mamme e dieci papà». In più, è arrivata la solidarietà di tanti italiani, come dimostra la cronaca di queste ore.
Ma la sfida terribile di questo bimbo non è tanto quella della malattia, pur straziante, ma è la domanda che un giorno magari, quando sarà adulto, porrà alla sua famiglia adottiva: «Perché sono stato abbandonato? Cosa avevo di così orripilante agli occhi dei miei genitori “veri” che non andava, tanto da lasciarmi in ospedale a combattere da solo? Perché, a differenza di tanti altri bimbi malati come me, io non meritavo il loro amore anche se richiedeva un impegno gravoso di cura e assistenza? Perché sono stato ricercato, voluto, chiamato alla vita e poi abbandonato perché “difettoso” e non in linea con i desideri di chi mi ha fatto nascere?».
Domande terribili. Porsele, per Giovannino, sarà ancora più lacerante di quella malattia che oggi gli squarcia la pelle in grandi falde come i rombi del costume di Arlecchino.