«Ma Bob Dylan è letteratura?». L’Accademia di Svezia ha dato la sua risposta, ma la domanda continua a rimbalzare. Sulla scelta del singolo autore ovviamente si può discutere, se ne discute sempre, perché ogni premio è una scelta opinabile. Se, invece, la domanda riguarda il genere, se quello che ci stiamo chiedendo è se i testi di canzone, in quanto tali e in quanto “pop”, possono dirsi letteratura la risposta è sì. Per quanto strano ci possa sembrare è una risposta che scende a noi dritta dritta dalla storia della letteratura.
Se il problema fosse infatti la musica, o la musicabilità, dovremmo mettere in questione molta della letteratura studiata sui banchi di scuola, a cominciare dal primo testo letterario in volgare italiano: il Cantico delle creature di Francesco D’Assisi, di cui, secondo le più ricche e antiche biografie del Santo, la Compilatio assisiensis e lo Speculum perfectionis, Francesco avrebbe composto anche la musica. Non solo, nel codice di Assisi, il più antico del XIII secolo conservato alla Biblioteca comunale di Assisi, il Cantico compare con un rigo musicale sul primo verso, privo di note, evidentemente previste ma non ricopiate dall’amanuense.
Cantata e per musica è stata, certo, tutta la tradizione della lauda medievale: noi oggi leggiamo Jacopone da Todi come una delle più alte espressioni della letteratura cristiana delle origini, ma non possiamo dimenticare che era letteratura popolare del suo tempo, pensata a scopo devozionale, per popoli che la ascoltavano cantata, perché da analfabeti non avrebbero potuto leggerla. Mentre noi leggiamo le laude per necessità, perché, in molti casi non in tutti, della melodia abbiamo perduto le tracce e con esse la consapevolezza.
Per musica era certo tutto il genere della chanson de geste e tutta la lirica dei trovatori provenzali che componevano contestualmente versi e melodia, e se è vero che la lirica italiana delle origini, siciliana e stilnovista, è stata presto svincolata dalla melodia, è anche vero che come scrive Pietro Beltrami, tra i più autorevoli specialisti di metrica italiana, anche la letteratura italiana contiene molta poesia per musica passata per il canone delle antologie: non solo nella dimensione religiosa della lauda, ma anche in metri e testi profani: «La ballata», scrive Beltrami in La metrica italiana, «è in misura significativa un genere per musica, come testimonia Boccaccio nel Decameron, ballate sono per la forma metrica la maggior parte delle ‘canzonette’, intese come poesie da cantare ed effettivamente cantate, fino a tutto il Quattrocento». Lo stesso vale, nei due secoli successivi, per madrigali, cacce, strambotti, fino all’ode canzonetta del Chiabrera. Tutte cose che, negando dignità letteraria ai versi per musica in quanto tali, toccherebbe sfrattare dai testi scolastici travolgendo come minimo anche la celeberrima Quant’è bella giovinezza di Lorenzo il Magnifico e la Didone abbandonata di Metastasio. per non dire, più avanti, di Arrigo Boito e dei suoi libretti d’opera.
Non solo, quando nel II° canto del Purgatorio Dante incontra il musico Casella, l’ombra dell’amico omaggia il poeta intonando Amor che nella mente mi ragiona, una canzone di Dante contenuta nel Convivio: l’episodio non basta per provare che Casella abbia dato le note davvero proprio a quel testo – passato alla storia come una canzone dottrinale, la più letteraria delle forme liriche -, ma lascia pensare, a critici autorevoli, che renda verosimile che in qualche occasione abbia davvero musicato i versi di Dante. Se il problema è la musica, ce n’è abbastanza per terremotare un po’ di certezze.
Se, invece, il problema è l’essere “pop”, la faccenda si complica ancora non poco: tutta l’epica studiata in classe potrebbe subire contraccolpi. Toccherebbe rimettere in discussione tanta letteratura tramandata per tradizione orale da cantastorie e giullari durante il medioevo e prima, scomodando illustrissimi: anche l’Iliade e l’Odissea sono vissute per secoli tramandate a voce dagli aedi. A essere fiscali si dovrebbe rilevare che anche i poemi cavallereschi che celebravano le gesta dei paladini di Orlando e dei cavalieri della tavola rotonda sono nati per essere tramandati e narrati a voce a un pubblico non per passare alla storia della letteratura. Anche l’Orlando innamorato e l’Orlando furioso, loro sì scritti per essere letti, magari a voce alta, nascono certo per celebrare il prestigio della Corte estense, ma anche per intrattenere, per divertire il pubblico dei cortigiani. Anche quando come per il Furioso, la fortuna anche critica arriva subito, la dimensione dell’intrattenimento rimane.
E se Guido Gozzano, in L’amica di Nonna Speranza, cita Verdi, con l’Ernani e il Rigoletto, nel contesto di una chiacchiera di metà Ottocento che oggi chiameremmo di gossip sui successi “pop” (cantante ingrassata compresa), è perché, in musica e in letteratura, classici non si nasce, ma si diventa, col tempo. Non solo, il più delle volte quelli che chiamiamo classici, sono diventati tali perché diffusi e “pop” tra i contemporanei. Succederà anche a Dylan? Presto per dirlo. Ai posteri l’ardua sentenza.