Sulla mediazione tra coniugi prevista dal ddl Pillon e la violenza sulle donne pubblichiamo la presa di posizione di Telefono Rosa.
Il Telefono Rosa da ormai trent’anni si occupa di aiutare le donne, battendosi contro la violenza di genere e qualsiasi forma di discriminazione. Da sempre l’Associazione sostiene che la violenza non è una malattia, definirla tale è una tesi non comprovata scientificamente, tanto che non possono essere citati studi a riguardo, ed è un’affermazione pericolosa e inaccettabile. Ritenere l’uomo violento malato e in quanto tale meritevole di cure, potrebbe condurre all’aberrante conclusione che le sue azioni siano giustificabili e non punibili. La violenza sulle donne è un crimine e lo Stato ha il dovere, innanzitutto, di punire gli autori di questi gravi reati e di proteggere le vittime.
Il Telefono Rosa sottolinea che il concetto di malattia implica un'alterazione dello stato fisiologico di un organismo (comprensivo eventualmente di quello psicologico) capace di ridurre o modificare negativamente le funzionalità normali, unita al complesso delle reazioni fisiologiche che derivano dallo stato patologico. Per intervenire e curare una malattia è necessario individuarne le cause e quindi le eventuali terapie. Questo non è possibile con la violenza contro le donne. Se esistesse un’alterazione a livello funzionale o fisico è molto probabile che questa agirebbe in ogni occasione. Nel caso della violenza domestica invece gli offensori scelgono razionalmente di essere “carnefici” con la propria compagna, essendo però capaci di funzionare perfettamente a livello sociale.
In secondo luogo per capire cosa significhi la violenza occorre guardare all’interazione di più fattori, economici, sociali e soprattutto culturali. La violenza è una modalità di relazione che si annida spesso anche dentro funzionamenti sociali all’apparenza coerenti e che si giova della collusione della società e degli stereotipi di genere, che ancora oggi viviamo. Occuparsi di violenza contro le donne significa occuparsi di violenza di relazione, che non beneficia di capacità di messa in discussione da parte degli offensori. Senza dilungarsi nella trattazione riguardo il percorso dei 12 passi, se ne sottolinea la scarsa utilità dal punto di vista dell’intervento psicologico che implica il desiderio dell’uomo di “guarire”, o più propriamente di rilevare la propria responsabilità nei comportamenti violenti. Questo è quanto di più lontano il Telefono Rosa rileva nel suo lavoro trentennale contro la violenza sulle donne. Appare ragionevole invece che coloro che vengono condannati possano, durante l’esecuzione della pena, aderire a un programma di recupero intraprendendo così un percorso qualificato e individualizzante, che li aiuti a comprendere il disvalore delle proprie azioni e a evitare la recidiva. Già dal 1996 l’Associazione sostiene la rilevanza del recupero dell’uomo violento. Per questo negli anni ha sostenuto diversi progetti, collaborando con varie associazioni impegnate nel trattamento dell’uomo violento. Tra queste l’Associazione del Professor Giulini. Non solo, il Telefono Rosa è a favore dello stanziamento di fondi appositamente destinati a tale fine.
Riguardo l’inaccettabile Disegno di Legge Pillon, qualora approvato, introdurrebbe l’obbligo di ricorrere alla mediazione, quale condizione di procedibilità nel caso di separazione giudiziale in presenza di figli minori. Non è affatto vero che si accelerano i tempi, diminuendo i costi. La riforma infatti non farà che aumentare le spese di chi intente separarsi, essendo la mediazione familiare a pagamento e a carico dei coniugi, oltre ad allungare i tempi della procedura con il rischio di esacerbare i conflitti già esistenti. Non si può mettere a confronto la nostra realtà con quella di altri Paesi dove la legislazione e la società marciano su binari diversi. La Convenzione di Istanbul, recepita con la legge dello Stato nel 2013, vieta all’art. 48, nei casi di violenza di genere o violenza assistita dal figlio minore, il ricorso alla mediazione. Appare evidente in questi casi non solo l’inutilità dell’istituto, ma anche la sua inadeguatezza e potenziale pericolosità. Quale senso avrebbe, qualora la donna abbia sporto denuncia-querela nei confronti del marito, ovvero nei casi di elevata conflittualità tra coniugi, costringerli ad affrontare il percorso di mediazione?
Circa la PAS, non esiste alcun riconoscimento da parte della Comunità Scientifica Internazionale riguardo tale sindrome, tanto che di questa non si trova traccia nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) che racchiude tutte le malattie mentali a oggi classificabili. Un istituto, quello della PAS, così discusso e rispetto al quale non vi sono certezze scientifiche non può, in alcun caso, essere posto a fondamento della decisione del Giudice in relazione all’affidamento dei figli minori.
Infine le affermazioni spot sulle madri maltrattanti non sono credibili perché non supportate da alcun dato scientifico. Viceversa sono ben noti i dati, avvalorati da studi scientifici, che riguardano gli uomini maltrattanti.