Un altro caso di morte, per ora solo sospetta, a seguito di una notte in discoteca, stavolta nel Salento, riaccende il dibattito attorno allo sballo, già caldo dopo la chiusura, da parte del questore, del Cocoricò di Riccione e dopo la presentazione in Parlamento di una proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis, da parte di un gruppo trasversale di parlamentari.
È un dibattito che divide e quando si sostiene che legalizzare da parte di uno Stato è una leggerezza- e ci si dichiara contrari - si viene facilmente tacciati di posizioni bigotte e disinformate, quando non accusati di voler fare un favore alle mafia che con il traffico di stupefacenti fa affari. O, ancora, di alimentare l'abuso con l'incentivo del gusto della trasgressione.
In realtà ci sono molti magistrati, autorevolmente impegnati contro la mafia, per niente convinti che la legalizzazione aiuterebbe il contrasto al narcotraffico. E le loro ragioni, al di là delle convinzioni morali di ciascuno, sono molto pratiche, quasi materiali. Tra i primi a chiarire pubblicamente che la tesi secondo cui basterebbe legalizzare per lasciare a bocca asciutta gli appetiti mafiosi era stato Paolo Borsellino, ma ci sarà certo qualcuno pronto a dire che dal 1992 i tempi sono cambiati e comunque che non è elegante tirarlo per la toga, dopo tanto tempo. A condividere la sua tesi, sostenuta in una conferenza, di cui alleghiamo il video, però ci sono autorevoli magistrati impegnati sul fronte antimafia qui e ora, o che lo sono stati fino a poco tempo fa, con i quali sul tema abbiamo avuto varie occasioni di confronto.
Una, la più recente, con Fausto Cardella, procuratore, capo della direzione distrettuale antimafia dell'Aquila, la stessa che, la scorsa settimana, ha sequestrato quasi un quintale di stupefacenti destinati alla movida adriatica, che spiega: "Dobbiamo chiarirci le idee: il consumo è già tollerato dalla legge, quando parliamo di legalizzazione, parliamo di legalizzazione del commercio e della produzione: ma davvero è questo che vogliamo? Non solo, si tratta di intendersi sullo scopo che si vuole ottenere, se lo scopo è il contrasto alla diffusione e al consumo è evidente che la legalizzazione non li disincentiva, anzi. Quanto all'affamare la criminalità organizzata, per ottenere lo scopo bisognerebbe che tutto il mondo legalizzasse in contemporanea tutte le sostanze, un'ipotesi talmente irrealistica e pericolosa da non rientrare in nessuna agenda: ogni legalizzazione parziale otterrebbe soltanto l'esito di dirottare gli affari della mafia dove il traffico resta proibito e di dirottare i consumatori verso i Paesi più tolleranti".
Nicola Gratteri, una vita in prima linea contro la 'Ndrangheta alla Procura di Reggio Calabria, lo ripete a ogni occasione pubblica sul tema: “Le droghe leggere sono solo il 5% dell’affare. In questa percentuale il 25% dei consumatori sono maggiorenni, solo a questi lo Stato potrebbe vendere le droghe leggere legalizzate. Servirebbero nuove aziende agricole, acqua, concime, personale assunto e assicurato… così un grammo di marijuana in farmacia costerebbe 12 euro. Chi la acquisterebbe se al mercato nero si vende invece a 3 o 4 euro?”. Non manca chi, forte dell'esperienza recente sulle scommesse e il gioco d'azzardo, sospetta che la legalizzazione di hashish e marijuana possa anche "raddoppiare" l'interesse della criminalità organizzata su quel settore.
Tra questi c'è sicuramente Raffaele Cantone, che poco prima di approdare alla presidenza dall'anticorruzione, da giudice del massimario della Cassazione alla domanda se condividesse, almeno in linea di principio, l'idea che la legalizzazione potesse rivelarsi utile a essiccare le vene del narcotraffico, rispondeva così: «No. La mia è una convinzione basata sulla razionalità, io credo che un legislatore non possa legiferare solo in termini utilitaristici, deve porsi il problema degli effetti delle norme sulla società. E su quello deve ragionare. Io avrei dei dubbi anche sull’utilità di un simile intervento nel contrasto al narcotraffico: si sposterebbe solo il problema degli appetiti dal mercato illegale a quello legale. Faccio un esempio a me caro: non mi pare proprio che legalizzare le scommesse abbia tagliato le gambe alle mafie sulle scommesse clandestine, semmai ha allargato i loro interessi anche a quelle legali. Con il risultato che le mafie si sono arricchite e cittadini sono diventati dipendenti. Se le droghe fanno male, e fanno male, lo Stato non può proprio porsi la domanda, perché allora per paradosso domani potremmo anche proporre di legalizzare le associazioni mafiose così utilizziamo i loro metodi e ci arricchiamo. Va bene la provocazione, ma che provocazione resti, tra l’altro nessun Paese ha mai legalizzato ogni tipo di stupefacenti. Un motivo ci sarà?».
Dopodiché nessuno, meno di tutti coloro che stanno sul fronte della repressione per necessità professionale, ha mai sostenuto che la repressione da sola possa funzionare come prevenzione o come deterrente, e disincentivare, ipso facto, il consumo. Ma vale quello che Gesualdo Bufalino diceva per il contrasto al consenso che gira attorno alla mafia: se vogliamo batterla accanto a magistrati e forze dell'ordine ci serve un esercito di maestri. Buoni maestri.