Dentro i 140 caratteri di un tweet potremmo sintetizzare così la proposta (o provocazione) di Roberto Saviano sulle pagine di Repubblica: “Il premio Strega è decotto e combinato, ma se facciamo vincere Elena Ferrante allora il premio rinasce. #lavoltabuona”. E ci avanzano pure 21 caratteri. Tuttavia, anche se siamo nell’epoca dei social, la questione va affrontata un po’ più a fondo, con il rispetto che si deve a un autore da milioni di lettori, scrittore "civile" oltretutto, (Saviano), a un’autrice geniale (Elena Ferrante), all’autorevole quotidiano che ha ospitato la l'epistolario pubblico (Repubblica) e naturalmente anche al premio Strega, forse il più celebre dei premi letterari, un piccolo Nobel all’italiana che in passato ha celebrato grandi autori e grandi capolavori.
Purtroppo lo Strega dei nostri giorni - spiegano i due scrittori nel carteggio epistolare pubblico - è un po’ come un liquore andato a male, “un tavolo con le gambe tarlate”, dove le tarme sono gli appetiti delle grandi case editrici che procedono con logiche di spartizione, con una conseguente “mortificazione dei talenti italiani” e un “gioco palesemente controllato”. Da qui la la proposta (o provocazione): facciamo vincere Elena Ferrante e il suo romanzo l’Amica geniale. A quel punto “si potrà dire che i libri sono stati una volta tanto sottratti ai giochi già fatti, o che almeno, a partire dall’anno venturo, anche la piccola editoria potrà considerarsi cooptata nella turnazione della grande”. In caso contrario “ si potrà dire definitivamente, senza ombra di dubbio, che lo Strega così com’è è irriformabile e che quindi va buttato per aria”.
Nel rispondere all’autore sulle pagine dello stesso quotidiano, nel più squisito stile dell’epistolario (Seneca e San Paolo, Croce e Gentile, Abelardo ed Eloisa, Goethe e Schiller) la "collega" Elena Ferrante dichiara che della cosa a livello personale importa poco. Tuttavia, se proprio vogliono assegnare il premio al quarto volume della sua quadrilogia, beh, lei non si opporrebbe: “I miei libri, quando non sono rimasti nello spazio privatissimo del cassetto, possono andare dovunque lo vogliano i lettori, l’essenziale è che io non debba andare con loro”. Dunque, nel caso dovesse vincere il premio, l’autrice (che da sempre conserva il più rigoroso anonimato) manderà un fattorino o un corriere traco a ritirare targa, assegno circolare (ma sarebbe meglio un bonifico) e bottiglia omaggio, ma non aspettatevi che si faccia vedere al Ninfeo di Villa Giulia in mezzo a tutti quegli amici della domenica vestiti con l'abito della domenica, con un libro in una mano e un drink con l'olivetta nell'altra. No, la Ferrante non ha i dubbi del Moretti dell'Ecce Bombo: la si nota di più sicuramente se non viene alla festa.
A noi questa cosa sembra un tantino elitaria, ristretta - anche se non si conoscono personalmente - a pochi intimi (due scrittori amici di penna e un quotidiano), la quintessenza del radical chic in salsa letteraria. Sia detto con il dovuto rispetto, perché il best seller logora chi non ce l’ha. Ma non si capisce il criterio per cui un autore debba decidere di suo gusto il vincitore di un premio letterario in nome della sua catarsi rigenerativa, perché la Ferrante e non una Mazzantini, una Mastrocola, una Michela Murgia, una Mazzucco, una Cristina Comencini o una Marta Morazzoni – solo per rimanere in quota rosa e non essere tacciati di maschilismo. Forse sul giudizio finale dello Scrittore ha pesato la comune origine napoletana (vabbuò, al cuore partenopeo non si comanda, glielo perdoniamo). Ma è nel metodo che nutriamo qualche dubbio: nel voler “commissariare” a proprio insindacabile giudizio un premio per guarirlo dalla sua deriva spartitoria. Un po’ come se Celentano o Gianni Morandi proponessero – che so – Vasco Rossi o Umberto Tozzi vincitore a Sanremo perché qualcuno sospetta che sia una “combine” tra i giurati. O se Saviano, nell’anno dello scudetto “taroccato”, avesse proposto di far vincere per sparigliare una squadra a caso, magari il Milan, o meglio ancora il Napoli. Se le altre società ci stanno, allora vuol dire che il campionato risorge, altrimenti non c’è speranza. Semplice no?