Perché Dio manda un terremoto per castigare qualche malvagio, se a causa del terremoto periscono anche molti innocenti?
Gian Franco P.
Il Male non viene da Dio
Le calamità naturali, non hanno come origine immediata e diretta Dio, bensì la struttura limitata e il carattere dinamico del cosmo creato. Quanto alla prima, come sperimentiamo spesso i nostri limiti, nella malattia, nell’invecchiamento, nella stanchezza, nella fame, nella sete e infine nella morte, così accade per l’universo e il pianeta, che siamo chiamati ad abitare. Questo limite cosmico, per cui percepiamo il mondo ben diverso e lontano dall’assoluta perfezione paradisiaca, non può non coinvolgerci come creature, sia in quanto spesso ne subiamo le conseguenze, sia in quanto siamo chiamati, con la nostra intelligenza e capacità, anche tecnologica, a rendere il mondo sempre più abitabile e la natura meno nemica. Quanto al dinamismo, è lo stesso che ha fatto sì che il pianeta terra si configurasse come luogo capace di accogliere la vita e l’umana esistenza, non senza lotta e “dolore”.
Tutto questo Paolo lo ha mirabilmente espresso, allorché, in un testo, che dovremmo in queste circostanze riprendere e meditare, ha scritto: «La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità − non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta − nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino a oggi» (Romani 8, 19-23).
La sofferenza non è una punizione
Purtroppo l’uomo, con il suo peccato e le sue scelte di morte, riesce a rendere più radicale e devastante il limite dell’universo e a produrre più danni di quanti non ne derivino da calamità come i terremoti o le alluvioni. In queste occasioni spesso le vittime non sono tanto causate dagli eventi naturali, quanto dalle case che crollano, o dallo straripare dei fiumi, spesso per motivi imputabili alle nostre scelte. Di qui l’ulteriore messaggio a vigilare, come persone e come società, perché non sia la nostra superficialità, la sete del profitto e la violenza sulla natura a far sì che essa si mostri ostile.
Se, come accade, nella natura si producono la sofferenza e morte degli uomini, delle donne e anche dei bambini innocenti (senza alcuna distinzione fra giusti e malvagi), non è perché si verifichi una punizione divina, di cui il cosmo sarebbe strumento, si tratta piuttosto di occasioni nelle quali siamo chiamati da un lato a meditare sui nostri limiti creaturali e sulle nostre deficienze morali, dall’altro a stringerci intorno a coloro che soffrono, per tentare di alleviare le loro sofferenze, con la solidarietà e la fraternità anche concreta e materiale: una “compassione” naturale e umana, che contribuisce alla nostra crescita personale e comunitaria, nel tempo dell’attesa del compimento, vissuta con la consapevolezza, non ingenua né sprovveduta, che «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per darne loro una più certa e più grande» (A. Manzoni).