Gentile prof.ssa Spotorno, sono rimasta colpita dalla notizia riportata da molti quotidiani, che all’ultimo concorso in magistratura molti candidati, ben più della maggioranza, sono stati bocciati allo scritto per le loro difficoltà, lessicali e grammaticali in primis, ad affrontare la prova. Nei vari commenti più volte ho letto che la responsabilità va ricercata nello scadimento del nostro sistema di istruzione sia primario che secondario. Mi piacerebbe sapere il suo punto di vista EMILIA
— Cara Emilia,in questi giorni in cui si chiudono i battenti delle scuole, alle prese con scrutini e valutazioni finali, anch’io mi sono domandata dove stiamo andando e se non sia davvero arrivato il momento di ripensare la scuola a 360 gradi. Che i nostri ragazzi siano sempre meno capaci di scrivere e argomentare è una realtà che il concorso in magistratura ha soltanto certificato con quel 5 percento di soli ammessi all’orale.
Non solo per mancata preparazione giuridica ma anche, dalle dichiarazioni fatte dalle commissioni esaminatrici, per l’incapacità di argomentare in maniera approfondita e logica, con ricorrenti errori grammaticali, logici e sintattici. Ed è forse dai fondamentali che la scuola dovrebbe ripartire! Perché se non si va a scuola solo per “leggere, scrivere e far di conto”, come dicevano i nostri nonni, forse ora si è superato un po’ il limite della creatività e della fantasia. So di dire cose che a molti colleghi, soprattutto della scuola elementare, non piaceranno, ma credo che tornare alle aste, alle cornicette, alla bella calligrafia e all’ortografia a volte potrebbe essere utile per insegnare il rigore e la fatica. Troppo spesso si viene contestati dalle famiglie per la richiesta di quest’impegno, quasi che la scuola debba pensare più a divertire che a insegnare. La scuola non deve divertire, ma appassionare e rendere consapevoli dei propri limiti e delle proprie possibilità. Ma per imparare il piacere della lettura, della scrittura, della risoluzione di un problema ci vuole tempo, pazienza, e a volte anche qualche frustrazione. Il nostro però è un tempo veloce, in cui tutto deve essere consumato in fretta, e la fretta è l’anticamera della superficialità.
Questo è un peccato in cui spesso cadiamo anche noi insegnanti, pensiamo di dover fare tutto e invece di soffermarci sulle cose fondamentali corriamo in una sorta di bulimia per finire tutto l’infinito programma. E allora forse dovremmo davvero iniziare da qua. Se è vero che, come ha ribadito il ministro dell’Istruzione, i programmi non esistono più, si decida quali siano i contenuti e le competenze di cui non si può fare a meno per arrivare al termine degli studi. Solo dopo aver verificato il raggiungimento di questi imprescindibili obiettivi disciplinari allora si spazi, nel nome dell’autonomia e della liberà di insegnamento, nell’infinità dei contenuti delle nostre discipline