Matteo Renzi al Quirinale (Reuters).
Che differenza c’è? La prima domanda che suscita l’atteso Governo Renzi, il più giovane della Repubblica come età media dei suoi ministri, sorge quasi spontanea. Cosa lo differenzia dal Governo Letta? Il livello delle sue personalità, al netto di tanti “no grazie”, non è certo superiore a quello del suo predecessore, e la giovinezza di per sé non è mai stata una garanzia di buon governo. Mancano poi due ministeri che il mondo cattolico ha sempre ritenuto importante: il primo, quello della Famiglia, è rimasto solo nei discorsi e nelle battute del segretario del Pd nella campagna delle primarie. Nulla di nuovo sotto il sole: un dicastero dedicato al principale ammortizzatore sociale del Paese, con la sua vitalità e le sue sofferenze, non era contemplato nemmeno dai Governi precedenti, e quando era contemplato aveva margini operativi praticamente nulli.
E’ scomparso però dalla lista un ministero dell’Integrazione, quello che era stato affidato a Cécile Kyenge e prima di lei ad Andrea Riccardi. Un ministero senza portafoglio ma importante, poiché aveva contribuito a far riflettere il Paese sulle nuove sfide aperte dalla globalizzazione e capovolto la prospettiva politica e culturale del governo Berlusconi nell’affrontare i problemi legati all’immigrazione, quando al potere c’era l’accordo Pdl-Lega, detto “l’asse del Nord”. Saranno contenti la Lega Nord e Forza Italia. Ma non il resto del Paese: perché privarsi di un ministero così importante sul piano sociale e culturale? Forse non si voleva recar disturbo a Berlusconi e Salvini dovendo giocare con loro sul secondo tavolo, quello delle riforme?
Sul piano politico, il primo dato è che questo nuovo esecutivo non è più il “governo del Presidente”, come i precedenti, nonostante non ci sia stato un passaggio elettorale a sancire la premiership dell’ex sindaco di Firenze. Fin dalla staffetta avvenuta in seno al Pd tra Letta e Renzi, il Capo dello Stato ha preso atto del cambio di passo e ha lasciato che le cose andassero per il verso deciso dalla direzione nazionale. L’influenza del Colle la si scorge solo nel ministero dell’Economia, certamente il più nevralgico dei ministeri, affidato a Pier Carlo Padoan e certamente voluta da “re Giorgio”.
Ma il nuovo esecutivo è un esecutivo “politico” a tutti gli effetti, con l’ambizione (lo ha detto chiaramente Renzi nel presentarlo) di durare per altri quattro anni, vale a dire per tutta la durata della legislatura. Un governo di leadership, che ha nel sottosegretario alla Presidenza il suo centro nevralgico. Molto snello (il meno numeroso della Repubblica dopo un esecutivo di De Gasperi), con una parità assoluta di genere (metà uomini metà donne), con molte riconferme soprattutto da parte degli alleati del Nuovo Centrodestra. Un esecutivo che ha l’ambizione e la responsabilità di portare l’Italia dalla palude per farlo rientrare a pieno titolo tra i Paesi più competitivi dell’Occidente.