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Madonna di Guadalupe: «Una nuova visitazione, Maria corse ad abbracciare i nuovi popoli americani»

11/12/2021  Così, nel 2014, papa Francesco spiegò l'apparizione della Vergine in Messico. Un messaggio (e un dono) per tutto il contenitente americano, dall’Alaska fino alla Patagonia. Oggi dove la "Morenita" lasciò impressa la sua figura sulla "tilma", l'umile mantello di Juan Diego (tra il 9 e il 12 settembre 1531, 490 anni fa esatti) sorge il santuario più visitato nel pianeta. «Giovani, famiglie, anziani, tutti vengono attirati dalla Madre di Dio», racconta don Andrès Sanchez che dal 2015 allo scorso luglio ha prestato servizio là

Il sacerdote don Andres Sanchez. Foto: Maria con te
Il sacerdote don Andres Sanchez. Foto: Maria con te

Il santuario mariano più visitato al mondo, quello di Nostra Signora di Guadalupe in Messico si prepara a festeggiare i 490 anni dell’Apparizione della Vergine Maria all’indio Juan Diego. Era l’alba del 9 dicembre 1531 quando, alla periferia di Città del Messico, sulla collina del Tepeyac,una donna vestita di sole si presenta al giovane con queste parole: «Io sono la perfetta sempre Vergine, madre del Verissimo Dio per il quale si vive». Chiede inoltre a Juan Diego di recarsi dal vescovo perché su quella collina sia eretta una piccola casa sacra e quando monsignor Juan de Zummarràga si oppone alla richiesta, esattamente il 12 dicembre, la Vergine invita il giovane a raccogliere fiori su per la collina. È inverno, eppure miracolosamente non mancano i fiori di Castiglia che l’indio ripone nel suo mantello con l’intento di offrirli al vescovo. Giunto in vescovado, dispiega il mantello, l’umile tilma fatta con due teli di ayate (fibra d’agave) cuciti insieme. I fiori cadono e svelano l’immagine della Vergine, raffigurata in piedi, con le mani giunte, il volto leggermente piegato e gli occhi socchiusi.

Un segno miracoloso, di infinita misericordia per tutto il popolo messicano che aveva vissuto solo pochi anni prima la fine dell’impero azteco e il dominio dei conquistatori spagnoli. «Maria», ha ricordato Papa Francesco nell’omelia del 12 dicembre 2014, «diede luogo ad una nuova “visitazione”. Corse premurosa ad abbracciare anche i nuovi popoli americani, in una drammatica gestazione. Fu come un grande segno apparso nel cielo, una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi che assume in sé la simbologia culturale e religiosa dei popoli originari, e annuncia e dona suo Figlio a tutti questi altri nuovi popoli di meticciato lacerato. Tanti saltarono di gioia e speranza davanti alla sua visita e davanti al dono di suo Figlio, e la perfetta discepola del Signore è diventata la grande missionaria che portò il Vangelo alla nostra America. Il Figlio di Maria Santissima, Immacolata incinta, si rivela così dalle origini della storia dei nuovi popoli come “il verissimo Dio grazie al quale si vive”, buona novella della dignità filiale di tutti suoi abitanti. Ormai più nessuno è solamente servo, ma tutti siamo figli di uno stesso Padre, fratelli tra di noi e servi nel Servo».

A confermare che la Vergine di Guadalupe ancora oggi è un riferimento e una guida per tutti, credenti e non, è don Andres Sanchez, sacerdote dell’Arcidiocesi di Città del Messico, che dal 2015 allo scorso luglio ha prestato il suo servizio pastorale presso il Santuario della Madonna di Guadalupe. «Noi messicani nasciamo nel segno della Vergine morenita, Patrona delle Americhe. La Madonna è un modello per ciascuno di noi. Allo stesso tempo ho conosciuto la forza di questa donna, di Maria nel suo tempio di Guadalupe. Sono testimone di come la tilma cambi la vita delle persone».

Don Andres, nella sua vita quanto è stata decisiva la presenza della Madonna di Guadalupe?

«In casa mia, i miei genitori, come tutti, avevano affisso in ogni stanza l’immagine di Maria. Dunque, insieme ai miei fratelli, siamo cresciuti con questa presenza, sotto il Suo sguardo e partecipando silenziosi alle preghiere che mamma e papà le rivolgevano. Svolgendo poi il mio ministero in Santuario questo rapporto con Maria è diventato ancora più intenso e quotidiano».

Quali ricordi custodisce della sua esperienza sacerdotale presso la sacra casa di Guadalupe?

«Mi commuovono anche adesso le carovane di pellegrini che raggiungono il Santuario. I giovani, le famiglie, gli anziani, tutti vengono attirati da Maria. I neonati vengono sollevati al cielo, sono presentati e offerti alla Madre di Dio cui si chiede la protezione. Anch’io quando sono nato, questo racconta mia madre, sono stato elevato davanti alla tilma di Guadalupe. Questo per dire che è un’azione che ogni giorno si ripete in santuario, da sempre».

La fede dei pellegrini ha aiutato il suo sacerdozio?

«Sempre. Il ministero a Guadalupe ha stravolto il mio essere sacerdote».

In che modo?

«Ho osservato giorno dopo giorno la devozione, la tenerezza, la confidenza di chi raggiunge il santuario e si mette in dialogo con Maria, ho visto pupille piene d’amore e di gratitudine per la Mamma celeste e questo mi ha colpito nel profondo. Amavo anch’io la Vergine Maria, ma posso dire serenamente che l’esempio dei fedeli laici ha rafforzato la mia vita di fede e confermato il mio cammino sacerdotale».

Cosa ha compreso di Maria, meditando e osservando il suo volto?

«Intanto la maternità. Faccio una premessa: il santuario è stato costruito senza colonne intermedie, questo consente a ogni pellegrino di guardare Maria da ogni angolo del tempio, o meglio permette a Maria di raggiungere ogni suo figlio. Questa è la metafora della sua maternità. La Madonna ci è accanto, vigila sui nostri passi. Un altro aspetto che si coglie a Guadalupe è che la Vergine presiede ogni celebrazione eucaristica, come sotto la croce è presente al sacrificio di Gesù ed è vicina alle nostre offerte e ai nostri patimenti. Quindi posso dire che negli anni trascorsi in santuario ho sperimentato e ho compreso la maternità e la vicinanza di Maria».

Oggi come mai si trova a Roma?

«Su richiesta del mio Arcivescovo, mi trovo all’Università della Santa Croce per un dottorato in Storia della Chiesa. La mia ricerca ha lo scopo di capire quali sono stati nei secoli i rapporti tra la Santa Sede e il Santuario di Guadalupe, con la confraternita degli spagnoli e degli indios fondate nel XVI secolo, qualche tempo dopo l’apparizione della Vergine, e quale il rapporto tra il Vaticano e il collegio dei primi sacerdoti che si prendevano cura del culto e della devozione della Madonna».

Dalle prime ricerche cosa emerge?

«Emerge che, nonostante le distanze oceaniche, i Papi e la Santa Sede in generale sono sempre stati vicini al popolo messicano e che il rapporto con il Santuario è stato di grande amicizia, bello, curato, vicino».

Perché è importante realizzare questo lavoro di ricerca?

«Studiare il passato ci aiuta a vivere il presente e il futuro. È sempre utile nella vita di ciascuno, come nella storia della Chiesa, fare memoria del cammino percorso. Nel caso di Guadalupe, lo trovo necessario dal momento che festeggiamo quest’anno i 490 anni dell’apparizione della Madonna a Juanito e entriamo nel decennio di preparazione al Giubileo. Dimostrare che la Chiesa di Roma, al pari dei cattolici messicani, sin da subito ha riconosciuto l’apparizione di Maria e ha sostenuto la devozione popolare, è uno strumento utile per accrescere la comunione, la sinodalità, tanto cara a Papa Francesco». 

Come festeggerà quest’anno la Madonna di Guadalupe, pur trovandosi a migliaia di chilometri dalla collina del Tepeyac?

«Il 12 dicembre sarà una giornata per me importantissima, anche se non sono più un sacerdote del santuario. Qui al collegio messicano dove vivo festeggeremo Maria e la invocheremo perché la pandemia si fermi del tutto e perché il Covid non mieta altre vittime, soprattutto nei Paesi più poveri».

 

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