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domenica 15 settembre 2024
 
QUARANTENE, CHE FARE?
 

«La quarantena ai contatti vaccinati con tre dosi si può ridurre ma non cancellare»

28/12/2021  «Serve molta prudenza», spiega il direttore dell'Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia Giovanni Maga, «se crescono i numeri più persone finiranno in ospedale, non è più accettabile che 3,5 milioni di 30-60enni non siano vaccinati»

Il Cts il 29 dicembre 2021 a fronte di una crescita dei contagi che potrebbe paralizzare il Paese con le quarantene, si riunisce per valutarne una rimodulazione.

Il 21 febbraio 2020, Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia, disegnò con pochi numeri lo scenario che si è purtroppo puntualmente verificato. Lo abbiamo raggiunto perché ci aiuti a capire quale situazione potrebbe prospettarsi intervenendo ora sulle quarantene.

Dottor Maga, si dice: “Omicron incontrando molti vaccinati ed essendo, apparentemente, meno ‘abile’ a raggiungere i polmoni, dovrebbe premere meno sugli ospedali”. La matematica, però, insegna che una percentuale piccola di un numero enorme è comunque un numero grande. Possiamo fidarci del minore impatto anche se i contagi crescono come stiamo vedendo?

«I contagi riflettono due aspetti di Omicron: una maggiore contagiosità e la capacità di contagiare anche i vaccinati. Va ricordato però che le ricerche correnti confermano che la terza dose aumenta di oltre 20 volte la protezione contro la Omicron. Il fatto che infetti meno i polmoni non è assodato e quindi è necessario mantenere una grande prudenza. Se il numero di contagi aumenta troppo, inevitabilmente ci saranno più persone che finiranno in ospedale».

Altro dubbio: Omicron gira da pochi giorni e raddoppia velocissimamente, quanti giorni servono per vedere l’impatto dei casi attuali su ricoveri e terapie intensive?

«La variante Omicron sembra caratterizzata da un periodo di incubazione molto breve: i primi sintomi si manifesterebbero nel giro di 2-3 giorni dal contagio. Spesso all’esordio sono simili ad un raffreddore, mentre non si rilevano le caratteristiche perdite di olfatto e gusto che hanno caratterizzato le infezioni con le precedenti varianti. I dati dell’Iss riportano per i pazienti ospedalizzati nel periodo di predominanza della Delta, un tempo medio tra insorgenza dei sintomi gravi e ricovero in ospedale di 3-5 gg. Considerando il breve tempo di incubazione della Omicron, possiamo aspettarci che il paziente che sviluppa malattia grave venga ospedalizzato nel giro di 7-10 giorni dal contagio. Però il decorso della malattia può variare molto anche in considerazione dello stato di salute generale della persona colpita. Penso che serviranno almeno due settimane per avere un’idea più precisa dell’impatto dei contagi da Omicron sulle ospedalizzazioni. I dati che giungono dal Regno Unito, quindi in una popolazione fortemente vaccinata, sembrerebbero indicare che il rischio di ricovero in ospedale a causa dei sintomi della variante Omicron è del 40% più basso rispetto alla variante Delta, ma una volta ospedalizzati il decorso non è diverso tra Omicron e Delta».

Si dice: "non ci stiamo con i tamponi a questo ritmo tra poco avremo moltissime quarantene di contatti stretti". La risposta che si affaccia è: "riduciamole, lasciamo liberi i contatti stretti, così non ci fermiamo”. Non è un rischio ridurre le quarantene proprio adesso che la diga dei vaccini con Omicron ha un po’ meno tenuta?

«Si tratta di trovare un giusto equilibrio tra due esigenze: da un lato limitare i contagi e proteggere la salute delle persone, dall’altro non rischiare la paralisi sociale, in particolare nei servizi essenziali e nelle attività economiche già fortemente provate da due anni di pandemia. Il problema in sintesi è: se aumentano molto i contagi, ci saranno molti contatti e quindi rischiamo di avere anche milioni di persone potenzialmente soggette a quarantena. Negli USA si è già presa la decisione di ridurre il periodo di quarantena da 10 a 5 giorni e addirittura eliminarlo per chi ha ricevuto la terza dose. Anche in Italia si discute se abbreviare il periodo di quarantena. Io penso che per i contatti stretti vaccinati con tre dosi (o con due se da meno di 4 mesi) si possa accorciare il periodo di quarantena a 5 giorni senza aumentare troppo il rischio di diffondere il contagio. Eliminare la quarantena invece sarebbe rischioso. Diverso il caso dei positivi: lì io sarei per mantenere i 10 giorni di quarantena e rientro in contesto lavorativo dopo tampone molecolare negativo».

È realistico preoccuparsi del fatto che il costo di questa scelta potrebbe ricadere sui fragili anche se vaccinati?

«La revisione delle regole di quarantena è ormai inevitabile a fronte del cambiamento del quadro dell’epidemia, ma è assolutamente prioritario proteggere chi è più a rischio: innanzitutto fornire i richiami alle persone più fragili e a chi ha completato le prime due dosi più di cinque mesi fa, poi imponendo l’uso della mascherina in tutti i contesti in cui si sia in presenza di altre persone anche all’aperto. Certamente un rilassamento troppo forte delle misure di contenimento avrebbe un impatto sulle categorie più esposte: i bambini che ancora sono poco vaccinati, gli anziani che potrebbero avere una riduzione delle difese immunitarie, i fragili a causa di patologie croniche anch’essi potenzialmente meno reattivi alle vaccinazioni».

In un sistema in cui il tracciamento non ce la fa più e la disponibilità di tamponi cala è ancora accettabile che ci sia qualche milione di persone che per scelta ne chiede uno ogni due giorni per lavorare?

«Io sono favorevole all’obbligo vaccinale, che potrebbe inizialmente essere calibrato sulle fasce più a rischio sia per motivi di età e di salute, che per esposizione professionale. Penso a chi ogni giorno è in contatto con centinaia di persone: negli uffici pubblici, alla guida dei mezzi di trasporto, alla cassa di un supermercato. Ritengo che il Green Pass con tampone antigenico rapido negativo debba essere sostituito dal super Green Pass in tutti i contesti, soprattutto considerando il grado piuttosto rilevante di falsi negativi che i test antigenici possono dare. Non è più accettabile che oltre 3 milioni e mezzo di persone tra i 30 e i 60 anni, ovvero la fascia più attiva socialmente e lavorativamente parlando, non abbia fatto nessuna dose. In questa fascia di età i contagi tra i non vaccinati sono il triplo rispetto ai vaccinati, i casi gravi 10 volte di più. Quindi, oltre ad esporre sé stesso ai rischi derivanti dalla malattia, chi non si vaccina può essere veicolo di contagio per gli altri. La vaccinazione, insieme all’uso costante della mascherina è in grado di mitigare in modo significativo i contagi. Ma serve senso civico, responsabilità e attenzione verso il prossimo. Questa è una battaglia che si vince tutti insieme».

 
 
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