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«Mai più bambini (e madri) in carcere»

08/03/2015  Sono soltanto 43 le madri in carcere con i propri (44) bambini. Non un numero insormontabile. Terre des Hommes, A Roma Insieme e Bambinisenzasbarre chiedono che sia finalmente applicata, a 4 anni esatti dalla sua approvazione, la legge che prevede la promozione delle Case Famiglie Protette. Sarebbe un modo concreto per celebrare la Giornata della donna…

Tra chi oggi (non) festeggerà la Giornata delle donne ci sono le recluse nelle carceri italiane. Sono il 4% della popolazione totale e non possono neanche guardarsi allo specchio: in galera non è permesso. Alcune di loro dovranno invece fissare negli occhi i propri figli, chiusi insieme a loro dietro le sbarre. Una mamma ha raccontato: «La sera, quando chiudono le celle, ho visto bambini con le lacrime agli occhi bussare al blindato per farsi aprire».

Con dati aggiornati al 30 giugno scorso, in Italia sono 43 le madri detenute con al seguito i propri figli, per un totale di 44 bambini. Non sempre donne che hanno commesso reati particolarmente gravi, spesso recluse semplicemente perché senza domicilio alternativo.

Così il bambino può essere detenuto sia in via cautelare, sia in esecuzione di pena. Se sei bambino, sconti la colpa di tua madre. Vivi con una mamma senza potestà, che non può decidere nulla, con gravi risvolti sulla relazione educativa. Spesso frequentano nidi e asili interni alla struttura, ma capita che il bambino sia l’unico di tutto il carcere e cresca senza coetanei.

Non sempre ci sono educatori per facilitare le uscite e molto è lasciato al volontariato. Tante le testimonianze raccolte in questi anni di come le prigioni, già disadatte a donne, lo siano più sciaguratamente ai minori: dalla bambina che, quando usciva, si metteva in tasca la neve per portarla alla madre, ai due bambini che volevano un animale domestico e catturarono uno scarafaggio creandogli una gabbia con due scarpe sovrapposte.

Tutto ciò accade a ben quattro anni esatti (8 marzo 2011) dall’approvazione della Legge 62, che recepiva la detenzione per i bambini come extrema ratio, chiedendo di istituire le Case Famiglie Protette. Quella stessa riforma ha innalzato da tre a sei anni l’età in cui i figli delle carcerate possono vivere con le loro mamme: ha ritardato una separazione traumatica, ma paradossalmente rischia di aumentare gli anni dietro le sbarre per i bambini. È per questo che l’Italia è stata più volte richiamata dal Comitato Onu per la Crc, la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia. Alla faccia della giustizia.

«I bambini crescono in carcere», denunciano le associazioni Terre des Hommes, A Roma Insieme e Bambinisenzasbarre, «a causa dell’assenza di una politica nazionale realmente funzionale alla risoluzione di questo problema». Eppure, parliamo di una quarantina di bambini, non numeri insormontabili.

Spiegano le tre associazioni: «La ragione è squisitamente economica: le Case Famiglia Protette infatti devono essere identificate dagli enti locali e da loro finanziariamente sostenute. Nulla invece può essere fatto ricadere sull’amministrazione penitenziaria, come chiarisce la legge 62/2011 laddove afferma che il principio del “senza oneri aggiuntivi per il Ministero...». A tutt’oggi, però, non ne risulta aperta nessuna in Italia.

Forse una buona notizia potrebbe arrivare dal Comune di Roma: l’11 febbraio, l’assessore ai Servizi sociali Danese ha annunciato di aver individuato delle possibili strutture in cui realizzare “La casa di Leda”, il primo progetto-pilota per sei detenute madri senza fissa dimora, proposto dall’associazione A Roma Insieme.

Al contrario, all’assenza di Case Famiglia Protette fa da contraltare una politica ministeriale di forti investimenti in favore delle Icam (Istituti a Custodia Attenuata per Detenute Madri). Dal 2011 ad oggi sono diventate tre: Milano, Venezia e Cagliari. «Tuttavia», spiegano Terre des Hommes, A Roma Insieme e Bambinisenzasbarre, «queste strutture hanno un costo elevato a fronte di evidenti inadeguatezze, rispetto alle esigenze di protezione, cura e crescita dei bambini ospitati. Si tratta infatti di istituti detentivi, pur attenuati, in cui l’utenza accolta è molto varia (donne incinte, madri con bambini, padri) e si riscontra un’ampia differenza di età dei bambini che possono accedervi (0-10 anni)».

Di contro, le Case Famiglia Protette risponderebbero al bisogno di un ambiente a misura di bambino, di un supporto efficace alla genitorialità e all’inserimento sociale delle madri, di una risposta variabile rispetto alle specifiche esigenze di età dei bambini accolti, nonché infine, di un minor costo di gestione. «Pertanto», concludono le tre associazioni, «sono la soluzione migliore in linea con la legge 62/11: chiediamo che, senza alcun onere aggiuntivo per il ministero della Giustizia, siano stornati dei fondi dal piano di costruzione delle nuove Icam in favore delle Case Famiglia Protette». Ecco, potrebbe essere un modo concreto per festeggiare la Giornata della donna…

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