Oggi 43enne, Andrea Albanese ha perso il figlio Luca il 4 giugno del 2013, nello stesso tragico modo in cui lo ha perso un altro genitore a Catania lo scorso 19 settembre. La routine del mattino, il cosiddetto black out o sindrome dissociativa che porta un bravissimo padre a scordare di accompagnare il figlioletto all’asilo e a lasciarlo in auto sul seggiolino recandosi al lavoro. Sino alle estreme conseguenze: «Solo in Italia ci sono state nove piccole vittime negli ultimi dieci anni e si sottovaluta sempre il numero di casi in cui l'incidente avviene in stagioni favorevoli, con clima mite, e quindi il tutto si risolve solo con uno spavento. Il più delle volte questi casi non vengono nemmeno denunciati e quindi non risultano in nessuna statistica». Così ci spiega quest’uomo che finalmente può festeggiare l’entrata in vigore di una legge per cui si batte da sei anni.
Ci può raccontare di cosa si tratta?
«I sistemi “anti-abbandono” si basano su sensori in grado di rilevare la presenza di un bambino sul seggiolino. Se il genitore scende dall’auto lasciandolo all’interno emettono un allarme acustico o addirittura possono dare l'allarme via messaggio o chiamando numeri di telefono cellulare memorizzati sul dispositivo».
C’è una legislazione simile nei Paesi stranieri?
«No, l'Italia sarebbe il primo Paese al mondo a dotarsi di una legge di questo tipo, ma in molte nazioni si sta chiedendo l'obbligatorietà dei sistemi anti abbandono.
Lavorare a questo progetto l’ha aiutata in questi anni ad affrontare il dolore? E chi è stato importante per lei?
« Non posso dire che mi abbia aiutato, posso dire invece che lottare per avere questa legge è stata per me un'esigenza imprescindibile, l'ho sentito come necessario fin da subito dopo la tragedia che mi ha colpito. Tante persone sono state importanti in questi anni, penso alla dottoressa Ghirardelli che per prima lanciò una petizione online per sostenere la richiesta e agli amici che mi aiutano a gestire il gruppo Facebook Mai più morti come Luca attraverso il quale cerco di far sentire la nostra voce».
E’ in contatto con altri genitori che hanno affrontato il suo dramma?
«Sì, con alcuni ma non con tutti. Ognuno fa scelte personali su come gestire il dolore e rispetto la scelta di chi ha deciso di non comparire o di non avere contatti con altri genitori a cui è successa la stesa cosa».
Lei gestisce la pagina FB “Mai più morti come Luca!” Quanto sono utili i social per queste battaglie e cosa cercano sulla sua pagina le 13.000 persone iscritte?
«I social sono uno strumento difficile da maneggiare, ma sono oggi una delle poche armi a disposizione dei comuni cittadini per farsi sentire e per arrivare a chi può decidere. Attraverso il gruppo cerchiamo di veicolare informazioni sul problema, sulle cause, fare informazione insomma, perché uno dei tabu più grandi da sconfiggere è la convinzione che possa succedere solo a genitori scellerati. Non è assolutamente così, può succedere a tutti, il nostro cervello non è infallibile e se sottoposto a stress può incorrere in buchi di questo tipo. Si chiamano episodi di amnesia dissociativa e possono colpire chiunque».