L'emicrania è una patologia fortemente
disabilitante che colpisce
circa il 15 per cento della popolazione
in tutto il mondo. Ma da
oggi, finalmente il mal di testa,
potrà essere sconfitto. Per la prima volta
in Europa, è stato infatti testato all’Istituto
scientifico San Raffaele di Roma un trattamento
per sconfiggere l’emicrania cronica,
frutto della trasformazione dell’emicrania
episodica spesso a causa di stress,
ansia e depressione.
Lo studio è stato condotto dall’équipe
del professor Piero Barbanti, presidente
dell’Associazione italiana per la lotta contro
le cefalee, che è stato ospite della trasmissione
di Tv2000, Il mio medico.
Professore, perché il mal di testa è
così comune?
«Perché il cervello è una macchina sofisticata e delicatissima che deve essere
necessariamente protetta da un sistema
di allarme e di difesa, il dolore appunto,
pronto a scattare se qualcosa non va, per
consentirci di correre ai ripari».
Il dolore si presenta in vari modi.
Possiamo fare una distinzione tra
le principali tipologie?
«Esistono cefalee “secondarie”, espressione
cioè di una malattia concomitante,
quindi in qualche maniera utili: è il caso
del mal di testa dopo un trauma cranico,
nel corso di un picco ipertensivo, o
durante l’influenza. Va però detto subito
che la maggior parte delle cefalee sono
invece “primarie”, cioè senza giusta causa.
Una sorta di “dolore gratuito” in assenza
di vero pericolo: è il caso della cefalea
di tipo tensivo, dell’emicrania e della
cefalea a grappolo».
Oggi ci soffermeremo su un mal di
testa che interessa circa 8 milioni
di persone: l’emicrania. Quali sono
le cause che la provocano?
«L’emicrania nasce da una predisposizione
familiare, verosimilmente genetica,
che rende il cervello troppo suscettibile
alle variazioni dell’ambiente interno
(ormoni) ed esterno (per esempio, clima,
alimenti). Il risultato è un sistema
nervoso che fa scattare il sistema di difesa
– vale a dire il dolore – per ogni minima
variazione: rilassarsi dopo uno stress,
dormire poco o troppo, digiunare, eccetera.
In parole povere, un eccesso di legittima
difesa».
Il mal di testa è una delle principali
patologie confuse con altre. Come
si effettua una diagnosi per escludere
altri disturbi?
«La diagnosi di emicrania si effettua mediante
un attento colloquio clinico e un
esame obiettivo e neurologico. La “cervicale”,
sembrerà strano, non è mai causa
di mal di testa e lo stesso discorso vale
anche per la sinusite, a meno che essa
non sia acuta e purulenta, ma in questo
caso facilmente riconoscibile. Un discorso
a parte meritano Tc e Rmn: non fatele
da soli. È un inutile spreco di soldi, ma
non solo. Potreste prendervi un grande
e ingiustificato spavento. Questo perché,
la persona con emicrania presenta frequentemente
alla risonanza magnetica
aree gliotiche che talora possono essere
erroneamente interpretate come esiti di
ischemie o di malattie demielinizzanti».
Quali sono, dunque, le caratteristiche
dell’emicrania?
«È un dolore ad attacchi, con durata
compresa tra quattro ore e tre giorni, con
un dolore spesso unilaterale, moderato o
severo, tipicamente pulsante, associato a
fastidio per luci o rumori, talvolta a nausea
o vomito, peggiorato dall’esercizio fisico. Il paziente deve cercare di isolarsi,
preferibilmente al buio, e può non trarre
beneficio dai comuni analgesici».
Perché l’emicrania può diventare
cronica? Ci sono fattori che possono
renderla resistente?
«I fattori di trasformazione più comuni
sono lo stress, l’ansia, la depressione. In
sostanza le vicende della vita personale,
sociale e lavorativa. Un ruolo hanno anche
gli analgesici e la caffeina, se utilizzati
in eccesso, e poi l’obesità, il russamento,
i traumi alla testa e al collo, l’ipertensione
arteriosa e il concomitare di altre patologie
dolorose croniche come la fibromialgia
e gravi artrosi».
Professore, il primo rimedio per i
pazienti che soffrono di emicrania
sono i farmaci da banco. Quali scegliere
e quando vanno assunti?
«I farmaci da banco sono comodi, efficaci
ma non specifici e non selettivi. Quelli
con massima evidenza scientifica sono
l’acido acetilsalicilico, indometacina,
ibuprofene, ketoprofene, naprossene,
ketorolac e paracetamolo. È senza dubbio
corretto assumerli ai primi sintomi e
a dosi piene. Si sappia però che oramai
da 25 anni sono anche disponibili i triptani,
farmaci effiaci, selettivi e specifici».
Esiste una terapia per prevenire un attacco nei pazienti che sono
particolarmente predisposti?
«Quando una persona emicranica ha più
di un attacco disabilitante a settimana
non è sufficiente curare al bisogno il suo
dolore, ma occorre anche prevenirlo.
Oggi sono disponibili circa 20 trattamenti
preventivi che spaziano dai beta-bloccanti
ai calcio-antagonisti, antidepressivi
e antiepilettici. La cura preventiva deve
essere personalizzata, durare in media
quattro-sei mesi e risulterà efficace se
sarà riuscita almeno a dimezzare la precedente
frequenza di attacchi».
Il progresso scientifico concede ai
pazienti la possibilità di avere più
armi a disposizione per curarsi in
maniera efficace. Parliamo di questo
nuovo trattamento. Di che cosa
si tratta, professore?
«Esistono oggi strumenti promettenti di
terapia preventiva non farmacologica. È
il caso della vitamina B2 ad alto dosaggio
(400 millagrammi/giorno), del coenzima
Q10 (300 milligrammi/giorno), di fitoterapici come il Tanacetum partenium
ma anche di alcuni neurostimolatori non
invasivi, come il dispositivo Cefaly, strumento
che si applica tutte le sere sulla
fronte per 20 minuti, per quattro mesi, e
agisce in senso preventivo sull’emicrania
desensibilizzando le terminazioni trigeminali
poste sulla fronte e da qui, a ritroso,
desensibilizzando anche le vie centrali
del dolore».
Le iniezioni di anticorpi monoclonali
per quanto tempo vanno somministrate?
Possono curare oltre a
prevenire gli attacchi?
«Siamo molto orgogliosi di essere il primo
centro in Europa a essere partito con
questa sperimentazione clinica che è destinata
ai soli soggetti con emicrania cronica
(cioè coloro che abbiano da 15 a 30
giorni al mese di emicrania da almeno tre
mesi). Come tutte le sperimentazioni cliniche
il paziente può capitare nel trattamento
attivo o nel trattamento placebo,
in maniera casuale, ma dopo tre mesi tutti
i pazienti passano al trattamento attivo.
Esso consiste di un anticorpo “cecchino”
che scova e neutralizza una sostanza
chiamata Cgrp, il cui eccesso è alla base
dello scatenamento dell’attacco. La somministrazione
è mensile, per via sottocutanea,
l’efficacia appare buona dai primi
studi (riduzione media del 62 per cento
degli attacchi, efficacia nel 75 per cento
dei trattati) e soprattutto associata a ottima
tollerabilità».