"Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo". Nel giorno del suo sedicesimo compleanno, il 12 luglio del 2013, la voce di Malala Yousafzai si è levata, forte e decisa, davanti all'assemblea delle Nazioni Unite a New York. Per affermare che tutti i bambini e le bambine del mondo hanno il diritto di andare a scuola, di ricevere un'istruzione. Perché è solo combattendo l'ignoranza e l'analfabetismo che si può crescere liberi.
Originaria della Valle dello Swat, in Pakistan, nel 2012 Malala è stata colpita da un attentato dei talebani mentre era sullo scuolabus. Condannata a morire, a 15 anni, perché ritenuta colpevole di avere manifestato pubblicamente, anche attraverso la Tv, la sua difesa del diritto all'istruzione delle donne, contro la politica ultraconservatrice e oscurantista dei talebani. Operata in condizioni disperate in Inghilterra, Malala è sopravvissuta. E' rimasta a vivere a Birmingham, con la sua famiglia. E porta avanti una coraggiosa campagna internazionale a favore dell'istruzione femminile in tutto il mondo. Lo scorso anno è stata insignita del Premio Nobel per la pace. Ha scritto un'autobiografia, Io sono Malala (edito in Italia da Garzanti), con la giornalista Christina Lamb.
A questo libro si è ispirato il regista Premio Oscar David Guggenheim per dirigere un bellissimo film-documentario, Malala, che in Italia esce nelle sale in 5 novembre. Guggenheim ha seguito la vita della giovane Malala nella sua quotidianità, è entrato nella sua casa di Birmingham, per disegnare un ritratto molto personale della più giovane Nobel per la pace della storia. Ha ripreso Malala a scuola, tra le sue compagne di classe, tra i libri della sua stanza, davanti al computer, nei momenti di intimità familiare. L'ha seguita nei suoi incontri ufficiali.
Ha intervistato sua madre, ha parlato con i suoi due fratelli. E, soprattutto, ha messo in luce, con delicatezza e profondità, il legame straordinario con suo padre, Ziauddin Yousafzai, uomo di grande intelligenza e cultura, aperto e lungimirante, insegnante e preside della scuola nello Swat da lui stesso fondata. Ziauddin non abbandona mai Malala, è sempre al suo fianco in tutte le sue attività e nei suoi impegni in giro per il mondo, dalla Nigeria ai campi profughi al confine tra Siria e Giordania.
Il racconto della vita di Malala e della sua famiglia si interseca con le immagini del Pakistan, il racconto della graduale ascesa al potere nella Valle dello Swat dei talebani capeggiati dal Mullah Fazlullah, fino al terribile attentato contro la giovane, nel quale rimasero ferite anche due sue compagne di scuola. Oggi Malala ha 18 anni, l'attacco subìto a colpi di arma da fuoco le ha lasciato dei danni fisici permanenti al viso, all'udito. Non può muovere la parte sinistra del volto, non sente con l'orecchio sinistro perché la pallottola, che le è entrata nella testa, le ha rotto il timpano. Ma a lei tutto questo non importa. I talebani non sono riusciti a farla tacere. Lei è viva, ancora più sicura e battagliera di prima. Non prova rabbia per quanto è accaduto. Perché, come lei stessa ha detto davanti alle Nazioni Unite, «debolezza, paura e disperazione sono morte; forza, energia e coraggio sono nati. Io sono la stessa Malala».