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sabato 26 aprile 2025
 
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Malato di parkinson in bici dal Veneto a Roma per rendere omaggio a Giovanni Paolo II

02/12/2022  Lorenzo Sacchetto si è ammalato a 44 anni, ma non si è arreso e dopo un delicato intervento ha ricominciato ad andare in bicicletta e con la moglie ha compiuto l'impresa percorrendo 500 km circa, per arrivare sino a Roma e incontrare papa Francesco e andare sulla tomba di Giovanni Paolo II

Una diagnosi di Parkinson a 44 anni è un colpo molto duro da accettare. Si pensa alla famiglia, i figli ancora piccoli, a come proseguire con il lavoro, a tutti i limiti che la malattia imporrà, al disagio nel mostrarsi così vulnerabile. Per Lorenzo Sacchetto è stato l’inizio di un lungo cammino che gli ha sicuramente cambiato la vita ma non l’ha scoraggiato nella sua lotta quotidiana contro la malattia tanto che la scorsa estate è arrivato a compiere un’impresa: percorrere in bicicletta 500 km circa, per arrivare sino a Roma e incontrare papa Francesco. 

«Quando è arrivata la diagnosi» spiega Lorenzo Sacchetto, «sapevo già a cosa sarei andato incontro, perché anche mia madre soffriva di Parkinson, viveva con me e l’ho seguita fino al suo ultimo respiro. Infatti la prima reazione alla notizia è stato un crollo psicologico, per un mese sono rimasto a letto incapace di reagire. All’inizio riuscivo a tenere a bada la malattia con i farmaci, con tanto movimento e lunghe camminate. Con il passare degli anni, la mia mobilità si è ridotta, cadevo spesso, avevo bisogno di aiuto anche nei gesti più elementari».

All’ospedale di Padova gli prospettano la possibilità di un intervento, l’impianto nel cervello di due elettrodi che stimolano il sistema nervoso attraverso delle scariche elettriche. «Un intervento non esente da rischi, e non per tutti risolutivo, ma io ho voluto provare lo stesso, la mia non era più una condizione accettabile». L’intervento è riuscito! Ho avuto da subito dei benefici, tanto che tre giorni dopo l’intervento ho lasciato il mio letto d’ospedale, con lo sconcerto dei medici, per andare, per la prima volta dopo tanto tempo, in bagno a radermi da solo». 
Un malato di Parkinson deve normalmente prendere molti farmaci e anche tenere il corpo in movimento, guai a fermarsi. L’attività fisica che Lorenzo provava a praticare con costanza era la bicicletta (camminare gli era difficile perché lo schiacciamento di quattro vertebre lombari gli creava problemi al nervo sciatico), ma negli ultimi tempi della malattia non riusciva più perché cadeva. Dopo l’intervento non solo ha ricominciato ad andare in bicicletta ma ha deciso di intraprendere quell’impresa che aveva in animo dal 2011, ovvero fare un pellegrinaggio sulla tomba di Giovanni Paolo II. «Per me è una figura di riferimento, perché non ha mai avuto timore a mostrare la malattia e la sua fragilità».
«Sono partito da Padova il 31 luglio con mia moglie Raffaella Roveron, a cui devo tutto, e con al seguito il fotografo Giovanni Diffidenti che ha documentato l’intero viaggio. Abbiamo percorso circa 80 chilometri al giorno, malgrado il caldo intenso di questo agosto, con punte di 40 gradi, arrivando a Roma, come previsto il 7 agosto. Questa nostra impresa è stata seguita e messa in rete dall’associazione Parkinson Italia, presieduta da Giangi Milesi, e dal coordinamento delle associazioni venete che si occupano di Parkinson, la cui responsabile è Giovanna Grando. Arrivato a Roma sono stato visitato dall’equipe medica del Gemelli, sezione dell’invecchiamento attivo. Nel pomeriggio dell’8 Agosto abbiamo potuto coronare il grande desiderio di recarci sulla tomba di Giovanni Paolo II, e il 10 Agosto, poi, c’è stata l’udienza. Solo cinque minuti, che a me sono apparsi lunghissimi, e dalla grande emozione non sono riuscito a dire nulla, così papa Francesco ha parlato con mia moglie, ma la sua stretta di mano, così piena di energia, mi ha fatto alzare un metro da terra. La mia soddisfazione più grande è essere di stimolo per altri malati come me (si calcola che i malati in Italia siano 250mila ma potrebbero essere il doppio), che sono incoraggiati dal mio gesto. Per questo la mia storia entrerà nella mostra fotografica “parlante” NonChiamatemiMorbo, racconti di persone che stanno lottando con il Parkinson».
 
 

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