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sabato 08 febbraio 2025
 
Migrazioni e salute
 

«Malattie “migranti”? No, neanche ebola»

04/08/2014  Parla il dottor Zeno Bisoffi, direttore del Centro per le malattie tropicali dell'ospedale di Negrar (Verona). E sfata tante paure. Anche quella della febbre emorragica che sta colpendo l'Africa occidentale.

«Quel che è certo è che la prima causa di morte dei migranti che partono dalle coste dell'Africa o dal Medio Oriente, non sono le malattie, bensì il viaggio»: chiosa il dottor Zeno Bisoffi, direttore del Centro per le malattie tropicali dell'ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona). Con buona pace di chi fa del binomio malattia tropicale/immigrato un automatismo.

Tbc, chikungunya, Mes (Middle East Respiratory Syndrome, ovvero sindrome respiratoria mediorientale), dengue, malaria, “vaiolo delle scimmie”. Oggi ebola. I titoli si sprecano. Gli italiani evocano la quarantena, ogniqualvolta una barca approda in porto.  Pochissimi sanno che, a seguito di un accordo tra ministero della Salute e della Difesa, a bordo delle unità navali partecipanti all'operazione Mare Nostrum, c'è personale sanitario ministeriale, proprio ai fini di sorveglianza e identificazione dei casi di malattia infettiva soggetti al Regolamento Sanitario Internazionale.

‒ Dottor Bisoffi, è tutta strumentalizzazione?

«Se ci riferiamo al “can can” mediatico che associa la presenza di nuove patologie con l'aumento della presenza di stranieri nelle nostre città, si tratta sicuramente di strumentalizzazione. C'è da dire, però, che, quando poi il problema viene affrontato in maniera scientifica, gli allarmi rientrano (vedi il recente caso della nave Orione dove un paziente è stato isolato per sospetto “vaiolo delle scimmie”, poi rivelatosi una comune varicella, ndr). E c'è anche un aspetto positivo in tutto questo, che è l'attenzione alla salute pubblica. Uno dei motivi per cui in Italia siamo tra quelli che hanno una delle legislazioni più aperte per quanto riguarda l'accesso alle cure dei cittadini stranieri, si deve anche alla necessità di tutelare la salute pubblica. La legge italiana garantisce agli extracomunitari e ai richiedenti asilo gli stessi diritti che abbiamo noi italiani in materia sanitaria. Poi potremo discutere sul rispetto della legge, ma questa è un'altra storia. A volte si ha l'impressione che in certe strutture sanitarie si tenda a far finta di non sapere tutto questo. Le leggi, dunque, vanno bene; la loro applicazione dipende un pochino anche dalla buona volontà delle strutture sanitarie e dei singoli medici».

‒ Dunque, l'immigrato non è pericoloso per l'italiano dal punto di vista sanitario?

«Intanto, bisogna dire che non tutte le patologie infettive si trasmettono da uomo a uomo, anzi, per la stragrande maggioranza delle malattie parassitarie, non c'è trasmissione diretta e, anche quando questa è possibile, spesso i livelli di contagiosità sono minimi. Prendiamo il caso della tubercolosi, del cui ritorno negli ultimi anni si sta parlando molto. Sicuramente, le ondate migratorie hanno portato un aumento dei casi, ma in Italia a esserne affetti sono prevalentemente gli stranieri, a causa delle precarie condizioni igienico-sanitarie in cui vivono. La curva epidemiologica tra gli italiani è discendente da anni. Certo, la tbc va cercata, vanno fatte tutte le indagini diagnostiche utili a individuare prontamente un'eventuale tbc clinica attiva, e poter, quindi, agire rapidamente per arginarla. In realtà, tra gli immigrati c'è qualche caso, ma non così tanti come si tende a dire. Piuttosto, in questi ragazzi, troviamo malattie tropicali croniche, tipiche di alcune parti dell'Africa, non trasmissibili da persona a persona, ma che, a lungo andare, se non curate, possono comportare gravi problemi per la loro salute».

‒ Sfatiamo la grande paura di questi giorni: l'ebola. Vista l'epidemia in atto in Africa centrale, qualcuno si è subito chiesto se può arrivare anche da noi, a bordo dei “barconi della speranza”. È possibile?

«Intanto, bisogna dire che in Italia non si è mai verificato un caso di ebola. Per quanto attiene, alle ondate migratorie di queste settimane, è matematicamente impossibile che qualcuno dei migranti possa portare con sé l'ebola, soprattutto per la tempistica. Queste persone non arrivano dalla Guinea Conakry in due giorni. Chi arriva con il barcone, si è già fatto giorni a piedi nel deserto, più la traversata in mare, perciò non può rappresentare nessun tipo di minaccia virale acuta trasmissibile».

‒ Forse la parola ebola fa particolarmente paura perché evoca scenari di diffusione elevata.

«Il che è sbagliato. Nei tre Paesi africani colpiti – Guinea Conakry, Sierra Leone, Liberia – da aprile, mese di inizio dell'epidemia, a oggi, si sono verificate in totale poche centinaia di decessi. Non prendo l'ebola stando vicino a una persona ammalata; occorre un contatto con i liquidi biologici. Infatti, di solito, la prende il personale sanitario perché si punge con strumenti chirurgici infetti, oppure i familiari delle vittime, che si occupano di sistemare il cadavere, e vengono a contatto con le secrezioni. Quindi, rischio zero per le ondate migratorie e, per gli stessi motivi già detti, rischio zero anche per il turista che andasse in vacanza in Africa. Ci potrebbe essere un rischio teorico se un malato prendesse un aereo per venire in Italia, ma nei tre Paesi suddetti non ci sono voli diretti per il nostro Paese, e comunque, verrebbe immediatamente preso in carico per essere testato all'arrivo nel primo aeroporto europeo».

‒ Siamo nella stagione turistica, anche nei Paesi esotici. Parliamo della malaria?

«Anche per la malaria, l'incubazione è piuttosto breve, quindi è difficile trovare casi di malaria in soggetti che sono stati a lungo in zone non malariche. Voglio dire, quando gli immigrati arrivano da noi, è difficile che abbiano la malattia acuta in atto. La riscontriamo di più negli stranieri stabili in Italia, quando ritornano da un viaggio fatto nelle loro zone di origine. Tuttavia, non rappresentano un rischio per la popolazione italiana. Avviene anche con i viaggiatori italiani che vanno in Africa o in India per le vacanze. Il consiglio, non tanto per un problema di trasmissione agli altri, quanto per il viaggiatore stesso, è di rivolgersi subito ad un reparto di malattie infettive se, al ritorno di un viaggio, si avvertono i sintomi tipici dell'influenza. Perché la malaria, se curata subito, guarisce molto rapidamente, se trascurata, per quattro, cinque giorni, può diventare un problema molto grave. Noi effettuiamo circa 450 ricoveri l'anno e vediamo quasi duemila persone nei nostri ambulatori, e la maggior parte sono persone che tornano da un viaggio. Quindi, profilassi anti-malarica corretta e rispetto delle norme igienico-sanitarie consigliate per la zona in cui si sceglie di andare».

‒ Quali sono le malattie dalle quali ci dobbiamo guardare?

«La dengue, per esempio, è una malattia che viene trasmessa dalla zanzara Aedes albopictus, ovvero la nostra zanzara tigre, si presenza con i sintomi di un'influenza un po' più forte, tuttavia, se presa più volte, può anche provocare crisi emorragiche. Per questo, rientra nel programma di sorveglianza delle cosiddette “febbri estive”, che abbiamo posto in essere con la Regione Veneto. Anche per la dengue finora non c'è stato un caso autoctono in Italia, ma in Croazia e Francia sì, per questo la teniamo monitorata. In ogni caso, il messaggio che va dato è che tutte queste malattie tropicali messe insieme non sono nulla rispetto alla “semplice” febbre nostrana, che si presenta con una gravità e una mortalità ben superiori, specialmente tra quelle categorie di persone cosiddette a rischio. Ecco perché bisogna insistere con le campagne di vaccinazione, azione ben più importante di qualsiasi altra che si possa fare per controllare le “minacce esotiche”».

Nella foto di copertina: il team del Centro di malattie tropicali di Negrar (Verona). Il medico al centro dell'immagine è il direttore del Centro, Zeno Bisoffi.

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