(Foto tratta da www.egyptianstreets.com)
Per la prima volta in Egitto una donna cristiana copta raggiunge il vertice di uno dei 27 governatorati del Paese. Manal Awad Mikhail è stata scelta dal presidente al-Sisi come governatrice della provincia di Damietta, sul Delta del Nilo, a 200 chilometri dal Cairo.
Prima di lei, soltanto un’altra donna, di fede musulmana, Nadia Ahmed Abdou, era stata eletta governatrice - prima in assoluto nella storia del Paese - alla guida della provincia di Beheira. Tuttavia, nell’ambito del rimpasto voluto da al-Sisi, che ha rinnovato i vertici di 22 delle 27 province egiziane, anche la Abdou è stata sostituita. Tra le nuove nomine, cinque donne sono state chiamate come vice-governatrici in altrettante province, fra cui quelle del Mar Rosso e di Giza.
Manal Mikhail, 51 anni, in passato è stata vice-governatrice della provincia di Giza. Originaria di Tanta, si è laureata in Veterinaria e ha poi conseguito un master e un dottorato di ricerca in Scienze naturali all’Università di Alessandria. Negli ultimi due decenni ha ricoperto numerosi incarichi nell’ambito dei suoi studi presso organizzazioni non governative egiziane e internazionali. Per i suoi studi nel campo dell’immunologia ha ricevuto vari premi.
Per la Mikhail si profila un compito certo non facile, in un Paese dove la poltrona di governatore è da sempre appannaggio del potere maschile e la grande maggioranza delle province sono governate da personalità provenienti dagli alti ranghi militari.
Va ricordato che, nel Paese a stragrande maggioranza musulmana sunnita, i cristiani - che rappresentano circa il 15% della popolazione - sono tra i principali sostenitori del presidente al-Sisi, il generale dell’esercito salito al potere nel 2014 dopo il colpo di Stato da lui guidato e la cacciata del presidente Mohamed Morsi, espressione del movimento islamista dei Fratelli musulmani. E’ chiaro dunque che la nomina di Manal Mikhail, donna e cristiana, è una manovra prima di tutto strategica per il controverso presidente egiziano, duramente contestato da più parti per l’autoritarismo del suo governo e le violazioni dei diritti umani.
Va tuttavia sottolineato che il nuovo Esecutivo formato lo scorso giugno, dopo le elezioni che hanno visto la conferma di al-Sisi (contro un solo candidato sfidante ammesso) comprende otto donne ministre e quattro vice-ministre, il numero più elevato di sempre nel Paese.
In uno Stato in cui la violenza e gli abusi contro le donne rappresentano una piaga molto diffusa e allarmante (secondo l’Onu riguarda tre donne su quattro), la presenza femminile nel mondo della politica e delle istituzioni - per quanto strategica - acquista un importante significato simbolico e segna, comunque, una volontà di cambiamento.
A dicembre del 2017 un tribunale del Cairo ha condannato a tre anni di reclusione per incitamento Nabih al-Wahsh, l’avvocato egiziano che in televisione aveva definito “un dovere patriottico" violentare una donna che indossa pantaloni provocanti. Alcuni giorni fa al-Azhar, la più alta istituzione musulmana sunnita d’Egitto, ha invocato a gran voce pene certe e severe per coloro che si macchiano di abusi contro le donne e ha condannato ogni tentativo di criticare o stigmatizzare il modo in cui una donna si veste o si comporta.