La premier Theresa May ha appena dichiarato che “l’attacco, durante il concerto di Ariana Grande all’Arena di Manchester, nel quale sono morte 22 persone, tra le quali, sembra, anche alcuni bambini, e 59 sono state ferite, è uno dei peggiori subiti dal Regno Unito e che la polizia conosce l’identità del responsabile anche se ha deciso di non rivelarla per il momento” e il collegamento con il terrorismo islamico è immediato dovuto anche alle rivendicazioni fatte subito dal “Daesh”. E insieme alle decine di messaggi che, su “Twitter” e “Facebook”, insultano i musulmani e incolpano l’Islam più radicale di essere incapace di tolleranza e di aver promosso la strage ritorna il dubbio sul modello di integrazione delle minoranze adottato dal Regno Unito britannico.
In fondo è stato proprio un rapporto voluto da David Cameron e firmato da Louise Casey a denunciare, qualche mese fa, che molti musulmani abitano nel Regno Unito pensando di stare in un Paese musulmano perché le loro donne portano il velo integrale, i figli studiano il Corano a scuola e nel tribunale si applica la sharia. E se di “islamizzazione” si può davvero parlare, Manchester, con la sua consistente popolazione musulmana e i suoi quartieri dominati dalle moschee e dai negozi dove si vende carne “halal,” ovvero macellata secondo i criteri del Corano, senza dubbio ne è un esempio.
Città insomma famosa non soltanto per le due note squadre di calcio, il “Manchester United” e il “Manchester City” ma per essere ormai controllata dall’Islam. Tuttavia, su questa interpretazione della strage commessa ieri, particolarmente tremenda perché ha colpito giovani e bambini, è lecito porre un punto di domanda. E anche sul fatto che la nostra società si ritrovi minacciata dall’Islam radicale. Perché, se è vero che i terroristi colpiscono obbiettivi molto visibili come Westminster e Manchester, è altrettanto vero che le statistiche ci dicono che è molto più probabile, nella capitale britannica, morire travolti da un bus che essere uccisi da un terrorista. E’ importante ricordarsi che 130 persone, ogni anno, muoiono per colpa di un autobus per mettere questi attentati, pur orribili, nella giusta prospettiva.
A dubitare dell’etichetta “Manchester città islamizzata” è Maria Sobolewska, docente di politica all’università di Manchester, che ha condotto numerose ricerche sulle minoranze etniche del Regno Unito e in particolare sulle risposte dei musulmani britannici agli attacchi terroristici. “Vivo a Manchester da dieci anni e la conosco molto bene”, spiega la professoressa Sobolewska, “E’ una città che conta molte minoranze etniche, dentro il suo mezzo milione di abitanti, e una grande popolazione musulmana. Può essere citata come un esempio armonioso di persone di religioni e razze diverse che vivono pacificamente insieme. Non per nulla una delle nostre attrattive turistiche più famose è il “Curry mile”, quella strada che corre attraverso il quartiere musulmano di Rusholme, e che vanta il curry migliore del Regno Unito”.
E’ la prima volta che Manchester conosce un attacco di questo tipo, ricorda la docente di politica, e gli ultimi episodi di terrorismo risalgono ai combattenti dell’Ira, l’esercito repubblicano nordirlandese, e agli anni ’70 e ’80 prima che cominciasse il processo di pace. Il rischio vero, all’indomani della strage, è che questa armoniosa convivenza tra religioni diverse venga compromessa se la rabbia e la disperazione trovano un capro espiatorio identificando qualche malato di mente o fanatico con un’intera comunità o religione. “Spesso il fanatismo e il radicalismo derivano dal fatto che le comunità musulmane sono state abbandonate a loro stesse e sono in condizioni di grande povertà, senza lavoro, senza la possibilità di raggiungere un certo livello di istruzione”, dice ancora l’esperta di minoranze etniche.
In fondo Manchester conta, insieme ad un’ampia popolazione musulmana, migliaia di cattolici discendenti di quei milioni di irlandesi arrivati in questi centri del nord alla fine dell’ottocento che hanno ridato vita alla Chiesa di Roma bandita da Enrico VIII nel sedicesimo secolo. E il timore che la rabbia scatenata dalla violenza subita dalla popolazione di Manchester porti a rivendicazioni e alimenti ulteriormente quella islamofobia che è, ormai, una delle materie di studio più popolari nelle università britanniche ha spinto i leader religiosi della città - tra i quali il vescovo cattolico John Arnold e quello anglicano David Walker - a invitare la popolazione a pregare e sostenere le vittime e i loro famigliari anziché rivendicare.
D’altra parte, lo confermano gli studi condotti dalla professoressa Sobolewska, è dimostrato che gli attacchi terroristici non cambiano la nostra percezione del mondo. Chi è tollerante nei confronti delle minoranze e disposto ad accoglierle lo diventa ancora di più e chi, al contrario, vuole trovare una facile via di uscita agita lo spettro dei musulmani pericolosi. Mentre la maggior parte dei seguaci dell’Islam, anche a Manchester, vogliono soltanto vivere in pace insieme ai loro concittadini.