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Manfredi: «Vi racconto una storia...»

12/11/2011  Incontro con il famoso scrittore, che in "Otel Bruni" trae ispirazione dalle sue memorie di bambino per raccontare il travagliato destino di una famiglia dal 1914 al 1949.

«Chi è abituato a narrare, si imbatte in una storia straordinaria e la narra». A Valerio Massimo Manfredi non importa se è ambientata in un’epoca più o meno lontana. E neppure se il protagonista è un prode re, come Alessandro Magno, o una famiglia di contadini emiliani, come i Bruni. Sono infatti Callisto, Clerice e i loro figli - 7 maschi e 2 femmine - gli eroi di Otel Bruni (Mondadori), ultimo romanzo del noto archeologo e scrittore: «È una saga familiare, dal passo epico, come ogni mio libro. Ma è un’epica degli umili: parte dal basso e ignora i potenti», spiega.

I Bruni sono mezzadri. Lavorano con fatica i campi di un notaio di Bologna. La cronaca delle loro vicende inizia la notte del 12 gennaio 1914 nel famoso Otel Bruni, la stalla-ricovero per viandanti e derelitti, vicino alla cascina. E prosegue fino al ‘49, attraverso guerre, lutti e soprusi che segnano la fine di quel mondo antico, fatto di valori e leggende, di cui la famiglia è depositaria: «Ho voluto consegnare alla memoria il mondo che ho visto da bambino».

- Che cosa la lega a questa storia?
«Maria Bruni, la figlia minore, era mia nonna. Ho sentito questa storia in casa da lei e da mamma. Nel ’94 ne scrissi una novella, Hotel Bruni (con l’H), per la raccolta Storie d’inverno. Ma ho sempre pensato a un romanzo dal respiro importante: l’ho scritto l’estate scorsa, mentre mio figlio lavorava alla tesi di laurea sul delitto di cui si accusò un altro Bruni, Armando».

- Insomma, c’è aria di famiglia…
«Gli eventi narrati sono unici, la maggior parte veri: ho attribuito ai Bruni anche fatti accaduti ad altri, per farne il simbolo della famiglia italiana dell’epoca, che doveva affrontare prove tremende».

- Come la partenza dei figli per la Grande Guerra…
«Tutti e sette tornano dal fronte: il primo rientra il giorno del funerale del padre! Poi c’è il fascismo, di cui la famiglia è vittima, e la seconda guerra mondiale che porta fino in Russia un’altra generazione Bruni. Infine, la guerra civile».

- Nelle difficoltà i Bruni si danno da fare e restano uniti, finché possono…
«C’è un che di eroico in questo. Per loro è fondamentale il rapporto con la terra: non fa ricchi ma garantisce la sopravvivenza e ripaga il sudore versato. Preferiscono la vecchia dura vita ai sogni di gloria promessi da un’inattesa eredità».

- In 358 pagine si assiste all’ascesa e al declino della famiglia. Quale evento è decisivo? «L’incendio dell’Otel Bruni per mano fascista. Chiunque bussasse alla grande stalla della cascina Bruni, con la neve o la pioggia, sapeva di trovare un giaciglio e un pezzo di pane. L’Otel era poi il luogo delle veglie invernali, in cui il narratore popolare raccontava storie meravigliose. Il rogo chiude un’epoca, fatta anche di magia e fantasia».

- Tramonta il mondo contadino…
«Non voglio idealizzare la società di allora: era chiusa, a volte meschina. Ma aveva grandi valori, come la parola data, l’attaccamento al lavoro, la dignità e un’incredibile solidarietà».

- Questi valori guidano le vicende umane e amorose dei protagonisti? Chi di loro incarna meglio l’epoca?
«Tutti. Ognuno a modo suo. Ma spicca Floti: è il leader, il più intelligente, vede lontano, ha iniziativa e convinzioni politiche».

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