Varando la nuova Finanziaria, il ministro Tremonti ha detto che la cultura non dà da mangiare. Non è chiaro se le esatte parole che ha pronunciato siano «Con la cultura non si mangia», «La gente non mangia cultura» o «La cultura non dà da mangiare». In ogni caso, il senso è lo stesso: la cultura, nella visione del ministro, non produce benefici materiali, ma rappresenta un costo.
A questa affermazione si potrebbe rispondere che anche i benefici immateriali, non quantificabili economicamente, hanno la loro importanza nella vita dell’uomo. Ma una risposta è possibile anche restando nell’ambito del ministro, l’economia, citando numeri nudi e crudi. A questo proposito, sarebbe stato opportuno che Tremonti avesse fatto visita a Florens 2010, la prima Biennale dei beni culturali e ambientali che si è appena conclusa a Firenze (www.florens2010.org).
In questa sede è stato presentato uno studio della European House – Ambrosetti che, incrociando una serie molto ampia di dati, e sfruttando un nuovo indice chiamato Florens index, ha dimostrato in maniera scientifica che – con buona pace del ministro – la cultura dà da mangiare (o che la gente mangia cultura, o che con la cultura si mangia).
Facciamo parlare i dati della ricerca. Per ogni di euro investito nel settore culturale, l’impatto (diretto, indiretto e indotto) sul sistema economico è di 2,49 euro. Scomponendo nel dettaglio il dato, di questi 2,49 euro 1,15 sono trattenuti all’interno del settore culturale, 0,62 vengono generati nell’industria manifatturiera, 0,16 nei trasporti, 0,12 nel commercio, 0,09 nell’industria non manifatturiera, 0,04 nelle costruzioni, 0,02 nel settore ricettivo (alberghi e ristoranti), 0,01 nell’agricoltura.
E non è finita. Lo studio calcola gli effetti dell’investimento culturale anche sull’occupazione. Risultato: per ogni incremento di una unità di lavoro nel settore culturale, l’incremento totale sulle unità di lavoro del sistema economico è di 1,65. Di cui 1,10 trattenute all’interno del settore culturale, 0,13 generati nell’industria manifatturiera, 0,07 nei trasporti e nel commercio, 0,04 nell’agricoltura, 0,03 nelle costruzioni e 0,02 nell’industria non manifatturiera e nel settore degli alberghi e della ristorazione.
Non stupisce che gli autori dello studio, così come i tanti relatori di Florens 2010, parlino di golden economy: altro che fame e miseria, la cultura è una gallina dalle uova d’oro che produce effetti positivi sull’economia e sull’occupazione.
Qualche esempio, giusto per evitare la tentazione di tacciare di idealismo la ricerca European House – Ambrosetti che, al contrario, è fondata su basi scientifiche rigorose. E’ stato stimato che il Festival di economia di Trento ha un ritorno quattro volte superiore alla spesa; tre volte le mostre di Brescia e di Como; ben sette volte il Festival della letteratura di Mantova.
Giovanni Gentile, ideatore di Florens 2010, presidente di Confindustria Firenze,editore, evita ogni polemica, anzi sottolinea la positiva presenza del ministro Bondi all’evento, ma propone qualche riflessione interessante. «La cultura non è un costo né un lusso, è una risorsa. Lo è in generale, ma ancor più in tempi di crisi. E’ uno dei pochi settori che possono produrre risultati rilevanti. Non dimentichiamo che parliamo di una risorsa nostra, che nessuna ci può togliere, perché l’arte, il patrimonio architettonico, l’ambiente sono l’essenza dell’Italia. E’ tempo che si capisca che nella cultura bisogna investire. Noi abbiamo proposto la defiscalizzazione degli investimenti, sia per le persone fisiche che per le imprese. Riscoprire il valore, anche economico, della cultura sarebbe il modo migliore per celebrare il 150° dell’Unità d’Italia».
Qualcuno potrebbe inviare al ministro la ricerca European House - Ambrosetti?