Vent’anni fa poteva sembrare un azzardo
creare nella città virgiliana per eccellenza,
culla del Rinascimento, oggi
Capitale italiana della cultura 2016,
una sorta di fil rouge, adattato alla contemporaneità,
con la vivacità culturale
promossa dai Gonzaga. Oggi Kazuo Ishiguro,
scrittore che da trent’anni gira per festival, lo
definisce «il più bello del mondo». E in effetti
il Festivaletteratura di Mantova, che quest’anno
festeggia il ventennale dal 7 all’11 settembre,
bello lo è davvero perché è frizzante, curioso,
aperto al mondo, giovane.
Una cinque giorni di incontri, laboratori,
percorsi tematici, concerti e spettacoli con autori,
artisti e scienziati di tutto il mondo, che
l’anno scorso ha visto la partecipazione di circa
125 mila persone, di cui oltre cinquemila bambini,
cui il festival riserva un’attenzione particolare.
Quest’anno saranno oltre 400 gli autori
e gli artisti ospiti, 281 gli incontri a posti numerati
e più di cento quelli a ingresso gratuito. L’idea
degli otto fondatori si è rivelata vincente. Il
festival è diventato un modello di riferimento
e da esportazione.
«Abbiamo sturato un nuovo modo di fruire
la cultura, spogliandola di quell’aura di distanza
e avvicinandola alla gente», spiega Marzia
Corraini, tra i fondatori del festival. «L’idea
nacque in seguito a un’iniziativa dell’Osservatorio
culturale di Regione Lombardia e dalla
nostra esigenza di un rapporto vero con gli
scrittori, testimoni di un’epoca. L’obiettivo era
far conoscere le persone, più che portare grandi
nomi. La società inglese incaricata della ricerca
portò alcuni esempi di iniziative culturali che
si adattavano al contesto storico, artistico ed
economico di Mantova. Fra queste il Festival di
Hay-on-Wye nel Galles, dal quale abbiamo preso
ispirazione per poi creare un impianto tutto
nostro. La cosa bella è che allora mise insieme
persone che in città operavano dal punto di
vista culturale a titolo personale: alcuni erano
librai, altri sociologi, io editore. Tra di noi non
c’è mai stato un art director: ci ritenevamo tutti
lettori. Ricordo che Luigi Einaudi e Inge Feltrinelli
si stupivano del fatto che, pur pagando il
biglietto, la gente accorresse».
Filo conduttore la scrittura. Personale e
identitaria, con memorie e microstorie, saghe
familiari e finzione. Ma anche radicata nell’attualità
con narratori e intellettuali che affrontano
tematiche scottanti come esodi, frontiere,
ridefinizioni identitarie e il cambiamento climatico.
Grande l’attesa per Jonathan Safran
Foer, che ritorna al romanzo dopo undici anni
con il nuovo Here I am (Guanda), per i due premi
Pulitzer americani Roger Rosenblatt e Philip
Schultz, per il premio Goncourt Lydie Salvayre
e per Dany Laferrière, primo scrittore di origine
haitiana a diventare accademico in Francia.
Curiosità per la giovane scrittrice inglese Louise
O’Neill, autrice di un romanzo definito distopico.
Fra gli altri anche l’attrice Charlotte Rampling
e il regista Nanni Moretti. La scrittrice
irlandese Edna O’Brien chiude il festival.
«La sperimentazione di nuovi discorsi narrativi
prosegue con Prototipi e con Storie di videogame.
Ragioneremo anche sui grandi scrittori
inviati di guerra e su come oggi si possa
raccontare con la stessa qualità ma in maniera
diversa quello che succede. È attraverso le persone
di cultura che si conosce il mondo».