Padre Norberto Stonfer con un ex-studente del Comboni College a Khartoum
(Nella foto; Zennari, a sinistra, poco dopo la liberazione. La foto è tratta dal profilo twitter di Nicola Pellicani. Per gentile concessione)
“Non ho mai visto una persona in uno stato di prostrazione così grave. Marco era ossessionato dall’idea di non uscire più da quell’incubo. Smunto, con la barba incolta, si leggeva tutta la sofferenza nei suoi occhi”.
La testimonianza a caldo è di chi il Sudan e le prigioni sudanesi le conosce assai bene: in missione da quasi trent’anni nel Paese africano, nel quale svolge anche assistenza ai detenuti, padre Norberto Stonfer, 67enne missionario comboniano trentino, ha incontrato due volte Marco Zennaro, il 46 enne imprenditore italiano in carcere in Sudan da circa due mesi, scarcerato nei giorni scorsi, dopo un lungo, difficile negoziato costantemente seguito dall'ambasciatore a Khartoum e dal Direttore Generale per gli italiani all’estero alla Farnesina Luigi Vignali, e il pagamento di ingenti garanzie bancarie.
“Ho incontrato Zennaro (che dovrà comunque restare in Sudan per affrontare le varie cause che lo vedono coinvolto, ndr) in due diverse occasioni”, racconta il religioso che s’è occupato della sorte del connazionale, e che è rientrato in Italia l’11 giugno: “La prima volta ai primi di maggio, al commissariato di polizia di Khartoum nord. La seconda volta la settimana scorsa nella prigione di Omdurman, dove ho conosciuto anche il padre di Marco appena giunto dall’Italia. Nella prima occasione ci siamo visti all’entrata del commissariato: stava in un specie di sgabuzzino dove ripongono le scope. Il padre gli aveva rimediato un materasso, perché nella cella erano in troppi. Una situazione paurosa. Assai peggiore, ammetto, rispetto alle condizioni in cui mantengono i detenuti nelle carceri in Sudan. Frequento le prigioni dal 1996 e non avevo mai visto una situazione simile. Ma soprattutto lo stato di prostrazione e d’angoscia di Marco era impressionante. Continuava a ripetermi ossessivamente di essere vittima di un imbroglio. Di essere stato incastrato da ditte concorrenti. Una situazione apparentemente senza via d’uscita, in cui si sentiva del tutto impotente”. Il pensiero poi andava continuamente alla famiglia, alla moglie e ai tre figli. “Era letteralmente angosciato. Continuava a ripetermi: tra qualche giorno mia figlia farà la Prima Comunione ed io non ci sarò”.
Padre Norberto avverte che, nonostante la buona notizia della scarcerazione, la vicenda è tutt’altro che finita perché restano aperte le cause civili avviate da aziende con cui Zennaro ha avuto solo rapporti indiretti. Il missionario è convinto che si sia trattato di una specie d’estorsione, un ricatto per eliminare la concorrenza. L’imprenditore dovrà difendersi dalle accuse di aver inviato in Sudan partite di trasformatori non conformi ai contratti.
“Pur avendo altre mansioni, mi occupo di prigioni e di detenuti da tanti anni, da quando ero parroco a Khartoum nord. Mi aiuta in questo apostolato uno straordinario volontario, catechista sudanese, Marko Anei, che ha dedicato tutta la sua vita ai carcerati e che davanti alla disperazione di Zennaro non ha trattenuto le lacrime”, continua padre Stonfer, docente e responsabile della facoltà di teologia e pedagogia a nome della diocesi di Khartoum. Dal 2008 fino all’anno scorso è stato al Comboni College della capitale sudanese, dove ha fatto il direttore delle scuole secondarie. Ora si occupa anche della formazione dei catechisti e maestri di religione cristiana nella capitale africana. “In prigione ci permettono di fare messa e un po’ di formazione per i cristiani. In Sudan, tuttavia, vige la pena capitale, tramite impiccagione, e con Anei abbiamo assistito molti condannati a morte, prima dell’esecuzione. Siamo riusciti anche ad evitare alcune esecuzioni attraverso il lavoro preziosissimo di questo laico volontario, un vero angelo dei detenuti. Nel Paese africano si può riscattare la vita del condannato, convincendo la parte lesa ad accettare un riscatto monetario stabilito dallo Stato. Anei, allora, media tra le famiglie del condannato e della vittima, finche arrivano a un accordo”.