Fa un certo effetto vedere Marco
Mengoni, di solito sempre
elegantissimo, presentarsi
con una semplice felpa verde.
Ma non siamo ancora sul palco.
Manca un’ora al concerto al
Pala Alpitour di Torino. Siamo nell’area
del catering, dove si serve la cena
per le quasi 200 persone che lavorano
per lui. Il frastuono degli annunci rivolti
al pubblico che sta affollando il
palazzetto è tale che Marco esclama:
«Vabbè, urlo. Tanto me toccherà “miagolare”
per du’ ore».
DUE ALBUM IN UN ANNO
Questo ragazzo
che sembra sempre con la testa tra le
nuvole, ma che in realtà ha una volontà
di ferro, nato a Ronciglione (Viterbo)
la notte di Natale di 27 anni fa, esploso
con la vittoria a Sanremo nel 2013
dopo aver trionfato a X Factor nel 2009,
è l’unico vero fenomeno espresso
dalla musica italiana negli ultimi
anni. Due album, Parole in circolo e Le
cose che non ho, entrambi vendutissimi,
pubblicati nel giro di un anno, e
ora questo nuovo tour da tutto esaurito
ovunque, che in estate lo porterà per
la prima volta anche in Europa.
Ma Marco non si è montato la testa.
Parlando degli arrangiamenti del
concerto curati da lui dice: «I miei
musicisti si fidano del mio orecchio,
anche se non sono diplomato al Conservatorio». E sulla possibilità di cantare
negli stadi è netto: «Non c’è fretta,
sono ancora giovane». Giovane, ma
determinatissimo: «In questo ultimo
anno, vissuto tra i due dischi e i concerti,
non ho avuto tempo di pensare
al futuro. Di sicuro non sarò mai completamente
soddisfatto di niente. Ma
questo mi sprona a fare sempre di più.
Quando non sarà più così, mi ritirerò
e ciao a tutti. Ma per adesso il mio
“pentolone” è ancora pieno».
Poche settimane fa lo abbiamo
visto in Tv accanto a Paola Cortellesi
in un emozionante duetto contro il
bullismo scandito dalle note di Guerriero,
la canzone con cui chiude i suoi
show. «In questi sette anni di carriera
ho conosciuto tanti ragazzi e ragazze
che mi hanno raccontato le loro storie.
Storie di violenze fisiche e verbali,
di anoressia, di bulimia. Una di loro
mi ha condato che non si amava e
che si era rinchiusa in sé stessa. Ora
mi ha fatto sapere che, grazie anche
alle mie canzoni, ha riscoperto la vita:
ha trovato un lavoro, si è sposata e ha
una bambina. Così ho perso una fan
che mi seguiva in tutti i concerti in
giro per l’Italia: ora viene solo quando
può. Ma io sono felice per lei».
È già ora di andare. Il concerto sta
per iniziare. «Il momento più emozionante
per me sarà quando sarò
seduto su una poltrona sospesa nel
vuoto e guarderò dall’alto le persone
che hanno comprato il biglietto
e per conquistare i primi posti magari
sono stati in coda dall’alba».
UNA FESTA D I FAMIGLIA
Salutiamo
quindi Marco ed entriamo nel palazzetto.
Tra il pubblico non ci sono solo
ragazzine, anzi. Oltre allo juventino
Stephan Lichtsteiner, svizzero evidentemente
dal cuore tenero, in larga
parte vediamo famiglie al gran completo:
papà, mamma, figli (non tutti
tra i più piccoli resisteranno a due ore
e passa di concerto e si addormenteranno
tra le braccia dei genitori che
imperturbabili continueranno a cantare
a squarciagola) e pure qualche
nonna (più tardi sarà molto divertente
vederne una unirsi al coro
del resto del pubblico: «Mentre il
mondo cade a pezzi, io confondo nuovi
spazi e desideri che appartengono
anche a te. Che da sempre sei per me
l’essenzialeeee!»). Ecco mamma Ginevra
con la figlia adolescente Laura,
che specifica: «Sono io che ho
accompagnato lei». Dopo un gruppo
di bambine scatenatissime, incrociamo
Francesco, pensionato, venuto
qui con la moglie: «Mengoni mi piace,
ma più ancora mi piace venire a vedere
un bel concerto».
E in effetti il concerto è davvero
trascinante, grazie alla band affiatatissima,
alle due coriste nere che accompagnano
Mengoni e alle scenografie mirabolanti. Arriviamo così al
momento atteso da Marco che, come
aveva promesso, compare seduto su
una poltrona sospesa sopra il palco
per cantare Esseri umani: «Credo negli
esseri umani che hanno il coraggio
di essere umani». La canzone è
preceduta da un monologo in cui il
cantautore afferma: «Non credo agli
eroi, credo alle mani degli uomini,
credo alle lacrime del compagno di
banco di Andrea, quello con i pantaloni
rosa, che un giorno si è stancato
di andare a scuola». Il riferimento è
al ragazzo romano di 15 anni che si è
tolto la vita perché in classe dicevano
che era gay.
Marco aggiunge: «Credo nei doveri
di ciascuno, nei diritti uguali per tutti
e nella famiglia che ti accoglie e non
ti giudica, ti copre quando hai freddo
e ti nutre quando hai fame». Quando
arriva il momento di Ti voglio bene
veramente, mamma Ginevra e Laura
la cantano insieme guardandosi negli
occhi: «Trascorsi giorni interi senza
dire una parola. E quanto avrei voluto
in quell’istante che ci fossi. Perché ti
voglio bene veramente. E non esiste
un luogo dove non mi torni in mente».
Mentre le ultime note si dissolvono,
loro si abbracciano forte.