Chi l’ha detto che profitti economici e rispetto della persona e dell’ambiente debbano stare su due piani diversi? Marco Piccolo, imprenditore nell’azienda di famiglia a Pianezza (Torino), la Reynaldi - fabbrica di cosmetici per conto terzi, «lavoriamo per i più grandi marchi del settore» - dimostra, dati alla mano, che fare impresa e seguire l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco non sono due dimensioni inconciliabili. Anzi, proprio mettere la persona al centro dell’azienda e la cura del creato genera un circolo virtuoso che fa bene anche ai conti economici.
Dunque, la sostenibilità economica e quella ambientale possono andare di pari passo?
«Certamente. Da gennaio scorso sono referente per la sostenibilità della Confindustria del Piemonte. E osservo che alcuni imprenditori iniziano a capire il punto della questione. Faccio un esempio: quando, nove anni fa, nella nostra azienda abbiamo deciso di approntare un sistema di raccolta e riciclo delle acque di produzione nel nostro stabilimento, lo abbiamo fatto sapendo che quell’investimento economico di 70 mila euro non solo faceva del bene all’ambiente (oggi non sprechiamo neppure un litro di acqua!), ma ci sarebbe tornato indietro pagando molto meno le bollette. Insomma, abbiamo fatto gli imprenditori: un investimento è stato ammortizzato successivamente con costi minori sul consumo di acqua. E l’ambiente ne ha tratto beneficio».
Insomma, la Laudato si’ funziona anche in azienda!
«Esiste il rischio che le imprese usino il “verde” come strumento di marketing per vendere di più. Faccio un esempio: se un’azienda affida la propria politica ambientale all’ufficio vendite, si capisce che fa solo finta di impegnarsi nella sostenibilità. Attenzione, però: tutte le ricerche di mercato ci dicono che i consumatori sono diventati molto sensibili al tema del rispetto dell’ambiente. Per cui, se un marchio commerciale non si impegna sul serio su questo, tra dieci anni sarà fuori dal mercato perché non troverà più una clientela. Un altro esempio: fino a qualche anno fa era normale per una signora comprarsi una pelliccia di visone. Oggi chi lo fa più? La sensibilità ecologica si è molto alzata».
Essere sostenibile per un’azienda vuol dire solo rispettare l’ambiente?
«Personalmente penso che sia qualcosa in più. In concreto significa mettere al centro le persone che lavorano con noi in azienda. Come? Le faccio qualche esempio. In Reynaldi finiamo tutti di lavorare alle 17. I miei collaboratori (non li chiamo dipendenti: anche le parole hanno il loro peso!) hanno il diritto di stare a casa con i figli, di andare al parco giochi con i loro bambini, di leggersi un libro o di dedicarsi a un hobby. Se lo fanno, vivranno meglio anche il tempo che trascorrono in azienda. E poi un imprenditore deve interessarsi concretamente della vita di chi lavora con lui: per questo festeggiamo i compleanni assieme, manager e collaboratori mangiano insieme nella stessa mensa, la macchinetta del caffè è gratuita per tutti… Vede, se le persone stanno meglio nel loro posto di lavoro, l’azienda stessa ne trae beneficio. Noi siamo partiti nel 2000 con una persona che lavorava in una sola stanza. Due anni fa eravamo in 28, oggi siamo in 70 e lo stabilimento occupa 7.500 metri quadrati. Nel 2019 il fatturato è cresciuto del 47%, nell’anno del Covid abbiamo fatto registrare un +25%, raggiungendo 6 milioni di euro di fatturato. E nel periodo della pandemia le persone si sono date da fare dimostrando un forte attaccamento al proprio lavoro».
Da dove attinge questa visione così «umanistica» del mestiere dell’imprenditore?
«Sono cresciuto in una parrocchia, San Giuseppe di Torino, dove ancora oggi sono impegnato come animatore dei gruppi giovanili. Frequento il monastero di Bose, dove vado tre-quattro volte all’anno per “ricaricarmi” le batterie spirituali. La sfida di un imprenditore oggi è quella di trovare un’unità umana tra quello che dice di voler essere e quello che concretamente fa. A volte rischiamo di essere due persone diverse: una quella che varca la porta della chiesa per la Messa e l’altra quando si ha a che fare con i dipendenti. Ecco, la questione è proprio questa».
E i suoi colleghi imprenditori, come la trattano? Da visionario o da ingenuo?
«Rispondo con un aneddoto significativo. Un giorno, durante un’assemblea di imprenditori ho portato la mia testimonianza, raccontando quello che facciamo in Reynaldi e quale spirito ci guida. Alla fine, un imprenditore di un certo rilievo, titolare di un’azienda con 2 mila dipendenti, mi ha avvicinato: “Marco, vieni a prendere un caffè?”. Quando ci siamo messi da parte mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto: “Ma tu, dormi la notte?”. E io ho risposto: “Benissimo!”. “Io sono anni che non chiudo occhio per timore della responsabilità”. Ecco, mi chiedo: ma è questo il prezzo da pagare? Come si fa a vivere così? Molto meglio chi trova soddisfazione in lavori più semplici che non capitani d’industria che sfruttano i loro dipendenti, senza dormire di notte per paura di perdere tutta la propria ricchezza».
Papa Francesco, con l’evento The Economy of Francesco, ha chiesto un’economia più giusta. Solo un’utopia?
«La nostra azienda è una società benefit, non una società per puro profitto. Siamo parte della rete dell’economia civile che si ispira alla teoria economica di Luigino Bruni, Stefano Zamagni e Leonardo Becchetti. Per questo, in Reynaldi se ci sono dei guadagni, è giusto che vengano suddivisi anche tra chi lavora in azienda. Ad esempio, lo scorso anno l’utile raggiunto è stato diviso così: il 30% ai soci, il 30% ai collaboratori e il 30% reinvestito in azienda. Proveniamo da una mentalità imprenditoriale che diceva: “Il profitto al primo posto”. Ebbene, quella mentalità è finita, è morta e sepolta. Fare profitto e basta causa morti e feriti a livello sociale, letteralmente. A me è capitato di assumere una persona licenziata da un’azienda il cui titolare girava in una costosissima Bentley. Non si può più pensare alle imprese come macchine per far soldi a palate solo per pochi, pensando poi di lavarsi la coscienza dando qualche briciola alle associazioni benefiche. Occorre smetterla di pensare solo al profitto. Se si mette la persona al centro, e con essa il rispetto del creato, anche i risultati arrivano».
Chi è
Età 46 anni
Professione Imprenditore
Famiglia Sposato e padre di quattro figli
Fede Cattolica con una spiccata sensibilità sociale
Nato nel 1974 a Torino, Marco Piccolo abita nel capoluogo piemontese con la moglie Laura, anche lei impegnata nell’azienda di famiglia, la Reynaldi, dove si occupa dei sistemi informatici e dell’innovazione 4.0. Anche la madre Maria Grazia Reynaldi, fondatrice e responsabile del laboratorio di ricerca e sviluppo, il fratello Andrea, responsabile della produzione, e la cognata Grazia, referente dell’amministrazione, lavorano nell’azienda con sede a Pianezza. Laureato in economia, Marco Piccolo ha 4 figli: Simone, 24 anni, laureato in economia, Giorgia di 18 anni, Cristina di 13, Elena di 8. Oltre alle attività come formatore dei giovani in parrocchia, Piccolo frequenta la montagna, effettua scalate e arrampicate, corre maratone e ama stare all’aria aperta. Con la famiglia è impegnato in questi anni (Covid-19 permettendo) nel completare, un tratto ogni anno, il Cammino di Santiago.