logo san paolo
martedì 06 giugno 2023
 
La preghiera
 

Maria e la Sindone, un altro modo di portare la Croce

03/04/2021  Il telo che avvolse Gesù esposto in contemplazione come fu il sabato santo dello scorso anno. Un segno di testimonianza, voluto dall’arcivescovo, monsignor Cesare Nosiglia, che ci invita anche a riflettere sulle sofferenze della Madre di Dio e sulla sua speranza pasquale.

«C’è un altro modo di portare la croce, quello di Maria, la madre di Dio. È la croce del dolore di madre, che vive la solitudine e l’abbandono; è la croce dell’offerta del proprio sacrificio in unione a quello del Figlio per redimere il mondo dal peccato e dalla morte». Alla vigilia della seconda Pasqua in tempo pandemia, mentre la luce oltre il calvario è più intuizione che certezza tangibile, si alza dalla cattedrale di Torino un messaggio di speranza. È la preghiera davanti alla Sindone, voluta dall’arcivescovo, monsgnor Cesare Nosiglia, come segno di testimonianza e opportunità di contemplazione, in un momento quanto mai difficile. Una preghiera “a distanza”, seguita dai fedeli attraverso la televisione e i social network. Qualcosa di analogo era già accaduto nel sabato santo 2020, nel pieno del primo lockdown, con le chiese chiuse e dolorosamente vuote, per evitare i rischi di contagio. La celebrazione raggiunse, tramite la tv, un miliardo potenziale di persone. Un milione e mezzo furono le visualizzazioni su YouTube, da tutto il mondo, 800.000 i contatti sui canali social. Ora quel rito, sobrio e pregnante, si ripete. Il contesto è molto diverso: la pandemia non è più un’emergenza, ma una dolorosa quotidianità con cui convivere. E se l’arrivo dei vaccini lascia intravvedere una svolta, il virus continua a seminare morte, paura e isolamento. Su tutto questo, la Sindone, “specchio del Vangelo”, come la definì San Giovanni Paolo II, allude, oltre i segni atroci della tortura, al mistero della risurrezione.

Non un dipinto, non una stampa, né un artefatto, ma un lenzuolo che porta i segni di un uomo veramente torturato e crocifisso. Anche al di là del dibattito scientifico che da decenni stimola studiosi di tutto il mondo (un dibattito sempre aperto), la Sindone è una narrazione per immagini, sorprendentemente conforme ai racconti evangelici della Passione. Oggi, per circa un’ora, il sudario è tornato a mostrarsi agli occhi del mondo, seppur per il tramite delle telecamere. A differenza delle ostensioni “tradizionali”, non è stato spostato dalla cappella nel transetto del Duomo che abitualmente lo custodisce. Anche la teca che lo protegge è rimasta in posizione orizzontale. E il sistema di illuminazione è stato studiato fin nei minimi dettagli, per permettere una buona visibilità, limitando però il più possibile l’esposizione ad agenti esterni (come intense fonti di luce), che a lungo andare potrebbero deteriorare la tenuissima immagine impressa sulle fibre del lino. Poche le persone ammesse in Cattedrale. Tra loro, esponenti di ordini religiosi e delle istituzioni, in rappresentanza dei tantissimi fedeli e cittadini che, a causa delle misure anti-Covid, hanno dovuto seguire la celebrazione da casa.

Quest’anno la Diocesi subalpina ha scelto di incentrare la riflessione attorno alla figura di Maria. La decisione è una mano tesa ai fratelli delle chiese orientali. Nella tradizione bizantina, infatti, il sabato santo, giorno del silenzio e dell’attesa, è anche il momento in cui si fa memoria della Madre celeste, del suo immenso dolore, della sua speranza. «Maria si fa presente sempre in ogni casa ed è in ogni vita dove c’è la prova e la sofferenza; è presente quando la Chiesa è nella persecuzione, quando nel mondo è in pericolo la pace» sottolinea l’Arcivescovo nella sua omelia. «Ella è presente, perché è la Madre a cui ogni uomo è stato affidato affinché trovi in lei la sponda desiderata per vincere la paura della croce e vivere nella speranza della vittoria pasquale».

Alla riflessione del’Arcivescovo si è affiancata quella di alcuni testimoni, chiamati a leggere, simbolicamente, i segni impressi sulla Sindone. Così Piera Gioda, insegnante ed educatrice, del Cisv (Comunità Impegno Servizio Volontariato) ha parlato delle ferite della croce sulle spalle di Gesù, collegandole all’impegno di tanti giovani durante la pandemi; Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani) si è concentrato sui segni dei chiodi ai piedi, in relazione al tema delle migrazioni; Daniela Sironi, coordinatore delle Comunità di S. Egidio di Torino, dei segni alle mani, collegandoli alla condizione dei senza dimora; Bruno Barberis, fisico e studioso della Sindone, ha riflettuto sulla corona di spine, segno del potere rovesciato e calpestato. E ancora, Ferdinando Garetto, medico di cure palliative, è partito dalla ferita al costato per raccontare la malattia e la sofferenza. E infine monsignor Giuseppe Ghiberti, biblista e presidente d'onore della Commissione per la Sindone, ha parlato dei segni sul Volto. Durante la diretta social è intervenuto anche frère Alois Löser, priore di Taizè. C’è infatti un legame speciale tra Torino e la comunità ecumenica in Borgogna. Il “pellegrinaggio di fiducia sulla terra” dei giovani di Taizè avrebbe dovuto far tappa nella città sabauda a capodanno 2021. Poi la pandemia ha costretto a sospendere il raduno, che però è stato solo rinviato di un anno. Anche in quell’occasione, i giovani che arriveranno a Torino da tutto il mondo potranno, in via del tutto eccezionale, vivere un momento di contemplazione davanti alla Sindone. 

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo