Maria Stella Falco è nata nel 1989 in provincia di Lecce, dove vive con i genitori, due fratelli e la tetraparesi spastica. Laurea magistrale in Lettere moderne all’Università del Salento, ora punta a quella in Servizio sociale. Il suo desiderio è inserirsi in questo settore ma anche nell’ambito scolastico, conciliando cultura e attenzione ai bisogni della persona. La passione per la scrittura l’ha portata a pubblicare una raccolta di romanzi: Due tempi, due donne, due stralci di storie (Youcanprint, 2017).
Maria Stella, sei nata con la tetraparesi spastica, una diagnosi che spaventa...
«Vivo questa condizione dalla nascita. Al parto mi è mancato l’ossigeno per qualche momento e questo ha causato un’alterazione della funzionalità cerebrale che mi ha procurato danni motori. Nel tempo, grazie alla costante riabilitazione e ai trattamenti medici, ho ottenuto miglioramenti al punto che oggi i miei arti più compromessi sono le gambe. Cammino usando prevalentemente quadripodi, stampelle a quattro punti d’appoggio. La mia condizione non mi ha mai spaventata; l’ho vissuta con la maturità consentita dalle diverse fasi di vita che ho attraversato. Più che altro mi sono sempre chiesta, quasi mai riuscendo a rispondermi, che cosa avrei vissuto da grande e chi avrebbe fatto parte della mia vita».
Oggi ti senti una ragazza che ha realizzato i suoi progetti?
«Sì. Anzi, in questo periodo della mia vita sono arrivata a sentirmi più che affermata davvero realizzata».
Nel tuo libro racconti di una persona con disabilità e di una senza: una proiezione di ciò che sei e di ciò che vorresti essere?
«Premetto che entrambi i racconti sono frutto di una riflessione personale, quindi in ognuna delle protagoniste c’è una parte di me, sia del mio aspetto fisico sia del mio carattere. Entrambe portano con sé qualcosa di ciò che ho vissuto o vivo. Tornando alla domanda, inutile negarlo, soprattutto crescendo mi sono immaginata a correre tra campi verdi. Ma non potrei vivere la mia esistenza senza la mia condizione, semplicemente perché quella non sarebbe la mia vita. Una vita a cui ho dato un senso profondo, specialmente dopo un momento difficile che mi ha consentito di maturare. La mia è una condizione che ho imparato gradualmente ad apprezzare, come ha fatto Francesca, una delle due protagoniste».
E qual è l’arma segreta per apprezzare la vita e per essere così determinati?
«Se è un’arma segreta, perché svelarla? A parte gli scherzi, è una mia scelta, fatta anni fa, di vivere appieno i miei giorni. A essere tanto determinata ho imparato, e imparerò, traendo spunto da altre persone».
Ti presenti come scrittrice emergente: c’è chi scrive per soldi, tu per che cosa lo fai?
«Scrivo, come Pontiggia e Pennebaker, perché credo nel valore creativo, espressivo e terapeutico della scrittura. Scrivo da sempre, anche su consiglio degli specialisti che mi seguono, perché scrivere o leggere allena la mente. È un esercizio utile quanto quello fisico. E poi scrivo per raccontare e raccontarmi. Per comunicare e sensibilizzare in materia di cultura della disabilità».
Da grande ti vedi scrittrice o cos’altro?
«Il mio sogno è conciliare gli studi letterari con quelli sociali. Da grande mi vedo assistente sociale impegnata nella gestione di una libreria o di un centro documentazione sulla disabilità».
Spesso parli di cultura della disabilità: come ti vedi inserita nella storia del nostro tempo?
«Da disabile, ma ancor prima in quanto persona, ho avuto la possibilità di inserirmi nella società, di migliorare e di migliorarmi all’interno della stessa. Ho recentemente stipulato il mio primo contratto di lavoro, benché a tempo determinato, come docente temporanea di materie letterarie. Ma ci sono cose che ancora non vanno. Giorni fa ero a cena in un ristorante quando è arrivata una famigliola con due figlie. Una faceva i capricci perché non voleva sedersi a tavola e la madre l’ha invitata a sedersi perché altrimenti poteva sembrare una scimunita. Ecco, vige ancora la cultura del pregiudizio e della superficialità. Io voglio cambiarla».
Se fossi un personaggio storico chi vorresti essere?
«Matilde, la protagonista del mio scritto. Perché vive nel Medioevo, un’epoca che mi affascina e che è entrata nell’immaginario come periodo cupo. Dal quale, però, si può rinascere».
Se dovessi lasciare una traccia nella storia, quale sarebbe?
«La traccia che vorrei lasciare è essere me stessa fino in fondo, così come sto facendo in tutti i modi».