Mario Brunello (foto A. Bevilacqua)
“E’ un libro più da ascoltare che da leggere. Nel silenzio”. Così scrive all’inizio della sua riflessione tra il filosofico, il musicale e l’esistenziale Mario Brunello, uno dei musicisti che il mondo ci invidia. Il suo è un originale, intimo elogio del silenzio. Solo a un superficiale può sembrare strano che un musicista dedichi un libro a tale dimensione. Chi conosce Brunello, sa quanto appassionata sia la sua ricerca dei silenzi, anche in luoghi alieni dalla musica, come il deserto, o l’alta montagna, per andarvi a suonare il suo magico violoncello.
Se viviamo male, afferma l’autore, è anche perché abbiamo cancellato il silenzio dal nostro tempo. Ma esso “vive fuori del tempo”. Anzi, “lo prende in contro-tempo”. E ci prende in controtempo. Il suo nemico non è tanto il rumore, o la voce sguaiata, ma il “sotto-fondo”, cioè quell’indistinto che omologa tutto, che confonde le differenze, che, in definitiva, falsifica la vita. Per tornare a vivere e a capire l’esistenza, quindi, si deve recuperare il silenzio, prendersene cura, ri-abitarlo, cavandolo dal cono d’ombra in cui lo abbiamo colpevolmente relegato.
Nel libro ("Silenzio", Il Mulino) , pensato come una sonata, cioè diviso in quattro tempi, più un bis, il violoncellista, parte dalla sua esperienza, tornando a quand’era ancora studente agli ultimi anni di corso. Preparando la Sonata op.25 di Paul Hindemit per violoncello solo, “scoprii il potere del silenzio e il silenzio mi fece scoprire di essere musicista”, rivela. Esso è la condizione senza la quale non potrebbe esistere la musica. E’ il luogo, il contenitore della musica il suo “liquido amniotico”. Il ventre dal quale escono i suoni, ma anche lo spazio dal quale esce l’invenzione musicale. “L’arte musicale degli ultimi tre secoli, la musica classica, ha fatto del silenzio un elemento espressivo, di equilibrio formale, addirittura un elemento principale entro il quale distillare i suoni. Da Bach a John Cage è stato fatto un percorso che ha portato a ribaltare l’importanza dei ruoli tra suono e silenzio”, osserva Brunello.
Mario Brunello (Foto A. Bevilacqua)
Poi il discorso si estende alle altre dimensioni intellettuali: non si dà creazione artistica se non immersi nel silenzio, ma neanche intuizione scientifica. D’altra parte quest’ultimo è anche il momento aurorale della comunicazione, del dialogo: il silenzio precede sempre la parola, quella autentica. L’ascolto richiede solo ascolto. Cioè silenzio. E invece noi, oggi, ascoltiamo, e vediamo assieme o, peggio, facciamo al contempo qualcosa d’altro. Viviamo con le cuffiette alle orecchie. Ciò elimina la possibilità decisiva di dedicarsi a una sola cosa alla volta, continua Brunello, che significa vivere con autenticità.
Anche l’esperienza religiosa, a ben vedere, prevede di necessità il silenzio. Prima che alla parola e all’annuncio, l’uomo di fede è chiamato alla meditazione, alla contemplazione muta. Forse perché capire che si viene dal silenzio, da qualcosa di diverso da noi che siamo “rumore”, e nel caso migliore voce, ci fa anche capire la presenza di un qualcosa di diverso da noi che ci contiene, ci previene, ci prevede. Proprio come il silenzio genera la nota. Davvero un libro da gustare in silenzio.