«Il radicalismo islamico è un problema grave: in Francia siamo arrivati a più di 1.400 giovani che cercano di raggiungere l'Isis e i gruppi terroristici. Un dato molto preoccupante. Vuol dire che ci sono migliaia di giovani che più o meno aderiscono all'universo di senso, alla visione del mondo proposta dai gruppi integralisti. Non possiamo dire che il radicalismo sia un fenomeno alla periferia dell'islam o che non abbia niente a che vedere con la religione islamica». A parlare è il sociologo francese Omero Marongiu, 45 anni, esperto di islam e formazione interculturale, direttore scientifico dell'European center for leadership and enterpreneurship. Figlio di italiani, musulmano convertito, Marongiu è una voce critica, alternativa all'interno del mondo intellettuale islamico in Francia. A Milano è stato fra i relatori del convegno "Islam in Europa - Islam europeo. La sfida della democrazia, organizzato dal Cipmo-Centro italiano per la pace nel Medio Oriente (diretto da Janiki Cingoli) in collaborazione con l'Università degli studi di Milano (Dipartimento di Studi internazionali giuridici e storico-politici).
A metà maggio, pochi giorni prima del convegno milanese, Marongiu ha partecipato all'incontro dei vescovi del Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa per le relazioni con i musulmani a Saint Maurice, in Svizzera: una tre giorni per discutere sulla presenza dell'islam in Europa, sullo sviluppo del radicalismo e su come pensare la relazione fra mondo cristiano e mondo musulmano. «Nel mio intervento», racconta il sociologo, «ho spiegato come un giovane nato e vissuto in Europa pensa e sviluppa la sua relazione con la religione, sia essa cristiana o musulmana. Sono intervenuto in quanto sociologo che si occupa di islam, ma anche in quanto francese convertito alla fede islamica».
Lei è francese, ha origini italiane, è convertito all'islam. Ci racconta la sua storia?
«I miei genitori sono emigrati dalla Sardegna, la provincia di Cagliari, nel 1957. Babbo lavorava nelle miniere del Nord della Francia. Io sono cresciuto con i giovani marocchini, algerini, di origine berbera, che hanno cominciato a praticare la religione islamica verso i 15-16 anni. La mia famiglia è cattolica. Ma a 11-12 anni io mi sono allontanato dal cattolicesimo. Dopo aver ricevuto il sacramento dell'Eucarestia ho chiesto di non andare più in chiesa e i miei genitori mi hanno lasciato libero di scegliere. Ho cominciato a frequentare la moschea con i ragazzi nordafricani, di origine berbera: ero in una fase di ricerca spirituale, nell'islam ho trovato il mio modo di relazionarmi con Dio. Da francese, figlio di italiani, mi sono integrato nella comunità berbera. A 22 anni ho sposato una ragazza marocchina: ho imparato l'arabo, il dialetto marocchino».
La sua vita è un esempio di integrazione interculturale.
«Sono un incrocio di tre culture: sarda, francese, marocchina. Questo è una ricchezza, ma nello stesso tempo anche una difficoltà: devo cercare di mantenere una coesione fra le varie componenti culturali. Il problema dell'integrazione risiede nello sguardo della società. Faccio un esempio: io ho quattro figli, due maschi e due femmine. Le due ragazze mi hanno detto: "Quando raccontiamo ai nostri amici arabi che nostro padre è italiano e e nostra madre è marocchina, loro concludono che noi siamo italiane. Quando diciamo la stessa cosa agli amici francesi, questi ultimi commentano che allora noi siamo arabe". Ecco il punto: i francesi vedono i miei figli come arabi, gli arabi li vedono come italiani e nella loro italianità percepiscono una ricchezza. La percezione della diversità cambia a seconda di chi osserva. Mia moglie ed io abbiamo educato i nostri figli all'interculturalità. Ma i giovani di origine araba in Francia per lo più hanno difficoltà a gestire lo sguardo della società francese su di loro, una società che li stigmatizza e non li fa sentire cittadini francesi».
E il fatto di sentirsi stranieri in casa propria gioca un ruolo importante nello sviluppo del radicalismo.
«Sì. Negli ultimi anni è cresciuto enormemente il numero di giovani che indossano il velo islamico. Ciò che accade in Francia è quello che in sociologia chiamiamo il rovesciamento dello stigma. Vale a dire: la società stigmatizza la mia identità religiosa? Allora io rimando alla società l'immagine che essa stessa mi proietta addosso, mi vesto e mi comporto come lo stereotipo detta e lo radicalizzo. In Francia abbiamo arabi di quarta generazione che ancora sono considerati stranieri, ai margini della cittadinanza. Posso portare il mio esempio personale: mi chiamo Omero Marongiu. Da 45 anni vivo con un problema: i francesi non sono capaci di pronunciare il mio cognome, lo considerano difficile. Il francese è bloccato sul modo di percepire la diversità. Lo sguardo della società è fondamentale. Se vogliamo davvero lavorare per l'integrazione dobbiamo allora fare uno sforzo per rifiutare gli stereotipi proiettati sul mondo musulmano».
(foto: www.croixdunord.com)