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giovedì 10 ottobre 2024
 
 

Marta Romagna: una vita alla Scala

09/12/2011  È la classica ragazza della porta accanto. Ma quella da cui entra ed esce ogni giorno la prima ballerina Marta Romagna è del teatro più noto d’Italia.

Palchi reali, velluti rossi, lampadari di cristallo, boiserie dorate: chi è entrato alla Scala di Milano sa che ogni volta è come ritrovarsi in una favola. E c’è chi dentro questa favola, da regine di un tempo (fu fondata da Maria Teresa d’Austria), vive ogni giorno sin da bambina. Come Marta Romagna, prima ballerina del Corpo di ballo del grande teatro milanese, dove è entrata a 10 anni come spinazzitt, “spinacina”, il soprannome in dialetto milanese dato alle piccole allieve della Scuola, per i capelli sottili da bimba che scappano via dagli chignon, che invece in una ballerina dovrebbero essere sempre perfetti e ordinati.

      Lei era una spinazzitt nata, anche perché milanese doc, da generazioni. È stato facile per dei genitori lombardi e amanti della lirica e del balletto pensare, vedendola danzare e saltellare con spaccate, piroette e ruote per tutta la casa, che fosse una buona idea iscriverla alla scuola più importante della città.

     «Fino ad allora non avevo mai fatto danza », racconta Marta. «Facevo ginnastica artistica. Partecipai alle selezioni ed evidentemente ero dotata: mi hanno preso».

    Marta ci riceve con semplicità nello spazioso camerino, uno dei più importanti tra quelli del Corpo di ballo, una vera e propria stanza che condivide con una collega prima ballerina. C’è anche il letto per riposare, che fa capire quanto sia dura la vita sulle punte e quante ore Marta trascorra qui dentro.

    «Ogni mattina arrivo alle 9.30 e resto fino alle 18.30. Abbiamo una pausa di 40 minuti. Certo è una vita faticosa: quando c’è spettacolo facciamo notte. E poi ci sono le tournée. Ma amo il mio lavoro e non ho mai pensato di mollare, neanche un minuto della mia vita».

 – Ora hai la fortuna di condividere la carriera con tuo marito Alessandro Grillo (anche lui primo ballerino)...

     «Ci capiamo. Condividiamo la stessa passione, le stesse fatiche, gli stessi dolori. E gli stessi orari: da quando c’è nostro figlio, il piccolo Francesco, che ha due anni, dividiamo anche i compiti... a casa. Durante una recente tournée a Catania, io lavoravo e Alessandro no. Siamo partiti comunque insieme. Mio marito mi aspettava in albergo con il bambino. A volte, però, siamo fuori tutti e due, e così affidiamo Francesco ai miei».

– Ancora i tuoi genitori. Ti hanno aiutato molto nella carriera?

    «Sono stati fondamentali. Credo che, specie da ragazzina, non ce l’avrei fatta se non avessi avuto alle spalle persone come loro. Ho visto giovani ballerini rovinati da genitori che riponevano in loro troppe aspettative. Se fallivano, li rendevano ancor più ansiosi e infelici. Al mondo, non c’è solo la danza».

– Ma è il sogno di tante bambine. Come hai vissuto la prima volta sul palco della Scala?

   
«Avevo undici anni. Era il saggio dell’Accademia. Ballavano le grandi, noi piccole dovevamo solo salire una scala, spalle al pubblico; in cima dovevamo girarci e simulare stupore, perché il sipario si apriva. Nella foto che conservo da allora ho la bocca spalancata in un “ooh” di meraviglia, che era vero!».

– Cosa consigli a chi vuole intraprendere la carriera di ballerina?

     «Come ho detto, da piccole contano i genitori. I miei non mi hanno mai forzato. Anzi. Ogni estate mio padre mi prendeva un giorno da parte, seduti al tavolo uno davanti all’altra e mi chiedeva: “Sei sicura di voler continuare? Ti piace davvero? Non vuoi forse lasciare per una scuola meno dura, più normale?”. Non sapevo ancora cosa volevo, capivo solo che mi piaceva, e così ho continuato. Mio padre, che lavorava come chimico in un’importante società di alimenti per bambini, mi aiutò anche nell’adolescenza. Ci fu un periodo in cui, per reazione al fatto che mi ero un pochino arrotondata (nella danza è assolutamente vietato essere cicciottelle), cominciai a non mangiare. Lui intuì il pericolo e mi suggerì una dieta da seguire. Ho così imparato ad alimentarmi in modo corretto».

– Segui ancora una dieta?

    «Mangio poco, ma davvero di tutto. Del resto, amo cucinare. E anche ricevere amici. Dicono che sono una brava cuoca. Lo dice anche una mia amica: Benedetta Parodi. Se lo dice lei... Il giorno in cui l’ho invitata a cena ero preoccupatissima. Mentre di solito sono sempre in ritardo, avevo già tutto pronto fin dalle quattro del pomeriggio».

– A 19 anni, con Roberto Bolle, ballavi già in ruoli da prima ballerina. Eppure sei un’antidiva...

    «Sento di essere stata fortunata. Nella vita serve un pizzico di fortuna. Quando sono uscita dall'Accademia era direttrice del Corpo di Ballo Elisabetta Terabust, che credeva molto nei giovani. Sono alta e hanno scelto di farmi ballare in coppia con Roberto Bolle, anche lui molto alto. Con Roberto abbiamo ottenuto subito il ruolo da primi ballerini in Romeo Giulietta. Quel balletto, che amo, è stato il mio esordio alla Scala. Amo i personaggi tragici, romantici, ma nella vita mi piacciono le storie semplici. Non mi sento una diva. Ammiro le ballerine brave, ma umane. Alcune étoile ti squadrano dall’alto al basso e sono delle iene. Del resto, personaggi come Biagio Antonacci camminano per strada e tutti li riconoscono. Io posso andare tutti i giorni tranquilla a far la spesa al supermercato. E ne sono felice. L’unico dispiacere? Gli italiani sono esterofili e sono più famosa all’estero che nella mia città».

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