«Il silenzio fa rumore, dobbiamo riuscire a sentirlo, scivolarci dentro», dice Martin Scorsese presentando il suo nuovo film. Lasciarsi scivolare dentro le oltre due ore e mezzo di Silence ci immerge nel Giappone del XVII secolo, nell’epoca in cui i cristiani furono sottoposti a dure persecuzioni.
Tratto dall’omonimo romanzo storico dello scrittore giapponese Shusaku Endo, Silence racconta le peripezie di due giovani gesuiti portoghesi, gli attori Andrew Garfield e Adam Driver, che raggiungono il Giappone per rintracciare il loro mentore, padre Ferreira (Liam Neeson). Il film di Scorsese non è soltanto una formidabile ricostruzione storica. È un film che fa riflettere sulla fede, la testimonianza cristiana, il martirio, il silenzio di Dio. Temi resi attuali a causa delle persecuzioni religiose che avvengono anche nel mondo di oggi.
«Sono temi con i quali mi sono sempre confrontato, perché la religiosità, fra rifiuti e accettazioni, mi accompagna da tutta la mia vita», confida Scorsese, 74 anni, nato a New York il 17 novembre 1942, di nonni siciliani. Il grande regista ha presentato il film a Roma e per l’occasione è stato ricevuto da papa Francesco.
Che cosa l’ha più colpita dell’incontro con il Papa?
«È stato un incontro che sento ancora dentro di me. Non è una di quelle cose che puoi mettere nel passato. Non mi aspettavo davvero che avrei mai incontrato il Papa in vita mia, è stata un’esperienza davvero straordinaria. Io e la mia famiglia eravamo sopraffatti dall’emozione».
Che cosa le piace di più di papa Francesco?
«Trovo che la presenza di Bergoglio nel mondo di oggi sia straordinaria e tonificante, grazie alle sue parole e al suo buon esempio. Ammiro i suoi modi. Quando il Papa abbraccia una persona, lo vedi totalmente, profondamente coinvolto. Resto sempre impressionato da come Francesco abbraccia i poveri e i disabili. Altri Papi hanno fatto gesti simili, ma l’informalità di papa Francesco riesce a toccare credenti e non credenti. Francesco si rende accessibile a tutti».
Che cosa le ha detto quando vi siete salutati?
«Mi ha detto: “Preghi per me, mi sarà utile”».
La preparazione di Silence l’ha messa in contatto con i Gesuiti e uno di loro, padre James Martin, è stato suo consulente. Che idea si è fatto di questi religiosi, che per la prima volta hanno un Papa loro confratello?
«Lei sta parlando a un laico che non è stato educato dai Gesuiti, quindi non posso dire di conoscerli a fondo, ma girando il film ho scoperto due aspetti molto interessanti: la loro abilità nel ragionamento e la grande apertura mentale. I Gesuiti ragionano in modo molto profondo e acuto e me ne sono accorto quando a Roma li ho incontrati per la proiezione di Silence. Mi hanno fatto domande molto brillanti, spingendomi a riflettere e a esprimermi in un modo che forse non avrei mai immaginato».
Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti, diceva che il discernimento aiuta a scegliere il modo migliore per agire: lei è d’accordo?
«Non conoscevo questo insegnamento di sant’Ignazio, ma sarei tentato di rispondere che l’idea di ragionare bene prima di prendere una decisione mi piace. Però, se sto facendo un’attività creativa, tendo a darmi di più del primo impulso. Poi ci sono altri momenti in cui devi fermare tutto e analizzare bene una situazione. In questi casi magari arrivi a fare tutto il contrario di quello che pensavi all’inizio, oppure torni al punto di partenza. Mi è accaduto tante volte, anche durante la lavorazione di Silence».
Da ragazzo quali sono stati i suoi sacerdoti di riferimento?
«Mi sono formato con i preti di strada, e quando dico strada si deve pensare a New York e a Little Italy tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Era un mondo di battesimi, funerali, processioni, dispute familiari, rimproveri a noi ragazzi che facevamo troppo chiasso in strada. Erano preti molto pratici, come padre Principe, un giovane sacerdote italoamericano che era davvero calato in profondità in quel mondo. Per me e i miei coetanei lui fu un po’ il nostro mentore».
Come si viveva la religione in quei tempi a Little Italy?
«C’è una fotografia esposta a Ellis Island scattata nel 1955 in un giorno di prime Comunioni in cui si vedono un prete e un chierichetto. Il prete è padre Principe e il chierichetto sono io. Si vedono le file dei bambini vestiti bene per la prima Comunione e i loro padri, italoamericani belli impettiti, con il cappello in testa. Ecco, il mio mondo era proprio quello, come un villaggio nel Sud dell’Italia».
Ha un ricordo particolare?
«Come chierichetto partecipai a molte Messe funebri. Di solito si svolgevano il sabato. Morivano soprattutto anziani emigranti siciliani. Ricordo ancora le urla laceranti delle donne tutte vestite di nero, che si gettavano in lacrime sulle bare. Era una scena terrificante».
Da ragazzo frequentava il cinema parrocchiale?
«Non c’era proprio un cinema, ma in fondo alla chiesa c’era uno spazio utilizzato per vari eventi e lì ogni tanto proiettavano un film. Quei film in genere raccontavano storie per farci conoscere il sistema americano. Ne ricordo uno sul funzionamento della giustizia, con un gruppo di giurati che doveva giudicare un imputato. Trovo molto interessante che queste cose ce le facessero vedere i preti».
Il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è nato a New York...
«Vero, siamo nati nello stesso quartiere, il Queens».
Forse è l’unica cosa che avete in comune. Si aspettava la vittoria di Trump alle presidenziali?
«Sì, in qualche modo me lo sentivo che avrebbe vinto, perché percepivo la rabbia del Paese e di molti americani, compreso mio fratello maggiore Frank, che vive a Staten Island».
Si sente preoccupato per la presidenza Trump?
«Sono preoccupato per la perdita del concetto di libertà in America, soprattutto la libertà di stampa, di opinione, di satira».
Pensa che queste libertà siano davvero a rischio?
«Sì, lo penso sinceramente. D’altra parte Trump ha già criticato Alec Baldwin per averlo imitato in televisione. Questo non mi piace. La rabbia diffusa oggi in America è diversa da quella degli anni Sessanta, quando si manifestava contro la guerra in Vietnam. È una rabbia più insidiosa e non so come Trump riuscirà a gestirla. Ci aspettano tempi difficili. Spero che i giovani capiscano che rischiamo di perdere i valori fondamentali della nostra democrazia. Molti dicono che non può accadere, ma non è così. Il Paese è giovane, non ha memoria. Quanti ricordano che abbiamo vissuto una sanguinosa guerra civile?».
Foto Amanda Archibald-Uff Stampa