La notizia è che Masi Agricola,
nome storicamente legato
all’Amarone della Valpolicella,
è approdata in Borsa,
ed è la prima fra le aziende
produttrici di vino italiane a
mettere in contatto diretto
il mondo dell’uva con quello
della finanza.
Una notizia di cui non
si coglierebbe il significato restando
nell’ambito meramente economico.
Non che Masi difetti, in fatto di indicatori
economici: parliamo di un’azienda che immette sul mercato 12
milioni di bottiglie l’anno (Amarone,
Recioto, la linea Campofiorin...) e che
nel 2014 ha fatturato 60 milioni di euro,
esportando in 94 Paesi del mondo. La
produzione ha il suo cuore nel Triveneto,
dove si estende su 553 ettari,
ma anche in Toscana (70 ettari) e in Argentina
(140 ettari). La competenza del
Gruppo tecnico Masi – un’idea innovativa,
che sostituisce la gura dell’enologo
con un’équipe di esperti in diverse
discipline – sostiene tenute storiche,
come quelle dei Serego Alighieri (discendenti
diretti di Dante!) in Valpolicella
e dei Bossi Fedrigotti in Trentino...
UN MATRIMONIO FECONDO. Per capire il
senso di questo traguardo, però, bisogna
tralasciare il “lieto fine” – la quotazione
in Borsa – e partire dall’inizio
della storia: che è una storia di famiglia,
di amore per il lavoro e la terra, di qualità
umane. «Tutto comincia nel lontano
1772, quando un membro della famiglia
Boscaini sposa una Bonaldi, che porta in dote il “Vaio dei Masi”,
una piccola valle della Valpolicella da
cui ha preso il nome l’azienda», spiega
Sandro Boscaini, attuale presidente e
amministratore delegato. «Da allora, la
proprietà è sempre rimasta nelle mani
della famiglia, attraverso sette generazioni
non di nobili, ma di gente che le
mani nella terra le ha sempre messe».
Accanto a Sandro, a guidare l’azienda
ci sono la glia Alessandra, il glio
Raffaele, il fratello Bruno e il fratello
Mario che, pur impegnato in un’attività
in proprio, è socio e consigliere di
amministrazione. L’altra figlia di Sandro
ha scelto di fare la veterinaria, perché
“fare il vino”, in casa Boscaini, non
è mai stata un’imposizione, bensì un
piacere, una passione e una vocazione.
UN DONO DELLA NATURA. «Qualcuno
pensa che denaro e vino siano il diavolo
e l’acqua santa», continua Sandro
Boscaini, «ma ciò è vero solo quando
la finanza prende le redini. Nel nostro
caso, è un mezzo per permettere
ai nostri valori di rinvigorirsi». Come
è accaduto che, partendo dalla Borsa,
siamo arrivati ai “valori”? «Il vino
è un dono della natura interpretato
dall’uomo. Se si forzano i tempi di
madre terra, distruggiamo tutto; se
invece usiamo le risorse che la finanza
rende disponibili per consolidare la
produzione, la sfruttiamo per crescere.
Lo slogan “piccolo è bello” non va
assolutizzato: solo facendo sistema
l’Italia potrà affrontare le sfide che un
mercato globale impone».
E il nostro Paese ha infinite “storie”
da raccontare, perché ogni bottiglia di
vino, come ogni prodotto della tradizione,
«è un condensato di terra, è la fotografia della nostra cultura e identità,
l’espressione del saper fare della nostra
gente, un messaggio che inviamo al
mondo intero. Il segreto più prezioso di
ogni successo», aggiunge convinto Boscaini,
«sta nella capacità di mantenere
salda la radice. Il compito di custodire
l’identità originaria e di tramandarla è
af dato alla famiglia: quando cucina i
tortellini mia moglie segue una ricetta
di sua madre, che a sua volta segue
quella della nonna, ciascuna apportando
un tocco personale. Dentro ogni
bottiglia di vino che esce dall’azienda
sono racchiusi la nostra famiglia, il
rapporto con il territorio, l’armonia con
l’ambiente e la gente, la coscienza dei limiti,
l’apertura all’innovazione».
«Che cosa rappresenterà l’approdo
in Borsa, lo vedremo», dice Alessandra, figlia di Sandro, che fin da bambina
ha bazzicato l’azienda con il nonno,
scegliendo poi spontaneamente di
impegnarsi in essa e oggi è responsabile
delle vendite. «Credo sia un bene
per la famiglia, perché un ente esterno
ci costringerà a migliorarci non tanto
in relazione alla nostra identità, ma
sulle strategie».
E il ruolo delle donne, nel futuro
di Masi, quale sarà? «Il mondo del
vino è aperto alle donne, sia perché
spesso sono in gioco aziende familiari,
sia perché sposa ambiti femminili:
l’accoglienza, la tavola, un modo edonistico
di gustarlo, la valutazione di
come e con chi consumarlo». E le donne
possono fare molto per mantenere
vitale quel radicamento nell’identità
di cui parlava il padre: «Ci hanno insegnato
il valore del lavoro nalizzato
non all’avere, ma alla nobilitazione
di sé stessi. E il lavoro è espressione
dell’amore per la nostra terra».